La lezione mondiale di Óscar Tabárez, «el Maestro»
È vero, lo stanno scrivendo in tanti: questo Mondiale ha già un vincitore. Non una squadra, non un campione di quelli il cui nome è conosciuto in tutto il mondo, ma un signore di 71 anni, dei quali gli ultimi dodici passati sulla panchina dell'Uruguay.
Vi siede, letteralmente, perché soffre di una neuropatia cronica degenerativa che attacca il sistema motorio e lo costringe, in quelle pochissime volte in cui riesce ad alzarsi, a doversi appoggiare a una stampella e a mostrare al mondo (lui, condottiero di un gruppo di atleti muscolosi e perfetti) un'andatura poeticamente malconcia. Il fatto è che quei ragazzi sarebbero pronti a buttarsi nel fuoco per El Maestro, il soprannome di Óscar Washington Tabárez, che in passato il maestro lo ha fatto davvero a Montevideo.
Si è parlato tanto di lui, del suo coraggio nel voler essere in Russia alla guida dei suoi uomini, nonostante una malattia che lo sta mangiando vivo. Non si è parlato affatto, tuttavia, di un atto di coraggio che Tabárez ha voluto regalare al suo Paese pochi giorni fa, in pieno Mondiale, scrivendo una lettera che, usando metafore calcistiche, inchioda l'attuale presidente Tabaré Vázquez (il successore di uno dei politici più amati, José "Pepe" Mujica) alle sue promesse.
In particolare una, che si riferisce a una materia molto cara a Tabárez, che scrive così: «Cari compatrioti, siamo in un momento decisivo per il Paese, per i nostri giovani e per il nostro futuro, giorni in cui giocheremo una delle partite più importanti. È necessario dunque il sostegno e la solidarietà di ciascuno degli uruguayani. Questo giugno non è un giugno qualunque. In questo mese ci giochiamo il futuro dei nostri giovani. È l'occasione per realizzare le promesse e segnare il gol più importante: dare ai nostri giovani migliori condizioni di studio, portare la nostra educazione pubblica a competere nei "migliori campionati internazionali".
«È tempo di rispettare ciò che è stato promesso e raggiungere il 6% del Pil per l'istruzione pubblica. Come insegnante, conosco lo sforzo, la dedizione e l'impegno che ogni docente mette nelle sue aule, in un campo dove è così difficile giocare e i rivali e le difficoltà sono tantissimi: la cattiva alimentazione degli studenti, la mancanza di stimoli, di motivazione e di materiali didattici per lavorare, le difficoltà di apprendimento, la sovrappopolazione e, soprattutto, la mancanza di riconoscimento di questo importante lavoro per costruire una società migliore. Per questo la partita per la quale dobbiamo fare il tifo è quella che giocheranno insegnanti e studenti, insieme. Non serve a nulla essere campioni del mondo se i nostri giovani non sanno dove sia la Russia o perché nella nazionale francese ci sono così tanti giocatori nati in Africa o con genitori africani. Non serve essere campioni se non trasmettiamo ai nostri giovani che apprezziamo ciò che fanno e crediamo nel fatto che abbiano un futuro di speranza.
«Abbiamo la responsabilità e l'obbligo di dire a tutti i giovani e ai bambini dell'Uruguay che crediamo in loro e che vale la pena scommettere sul loro futuro e che, se è necessario fare più sforzi per dare loro ciò che meritano, lo faremo. Il momento è ora, cantiamo l'inno forte per dire "sabremos cumplir!" ("sapremo realizzarlo") rispettando ciò che è stato promesso: il 6% del Pil per l'istruzione pubblica! Un saluto fraterno e rispettoso a tutti gli insegnanti in Uruguay».
Sotto a queste parole Óscar Washington Tabárez, ci mette faccia e firma. Lui che già nei suoi trascorsi italiani si era distinto come hombre vertical, rende merito al compito straordinario dello sport: essere un contributo al miglioramento del mondo.
Ah, per dire: in Italia la percentuale del Pil destinata all'istruzione è il 3,9% (euro più, euro meno) e ai Mondiali non ci siamo neanche andati.
PS: Nei giorni successivi alla diffusione di questa lettera Tania Tabárez, giornalista e soprattutto figlia del Maestro, ha smentito che il
padre abbia mai scritto queste parole. Peccato, viene da dire. Per una volta, qualora la notizia fosse davvero falsa, ne rimane la bellezza e il desiderio di condividerne i contenuti.
Chiunque sia l’autore di questo testo, siamo d’accordo con lui. In un mondo dove senza saper riconoscere un Paese sulla cartina si può diventare Presidente degli Stati Uniti o Sottosegretario alla Cultura senza aver letto un libro negli ultimi tre anni, è bello pensare che il calcio possa dare una mano.