La lezione del maestro Luis
La ripetuta mossa vincente di Aragones ai danni del Niño Torres non può passare inosservata ai "vedovi" della Nazionale, è anzi come una ferita: ti fa pensare a tutte le volte che Donadoni avrebbe potuto alternare una punta diversa a Toni, senza mancargli di riguardo: perbacco, una partita è una partita, la si gioca per vincere e possibilmente usando tutte le carte. Ma questa è acqua passata: mentre aspettiamo lo scontro finale tra la Germania marpiona e la giovane effervescente Spagna, raccogliamo i pezzi azzurri sparsi e andiamo a ricominciare. Con Lippi. Nessuno scandalo. Verrebbe da dire: logica alternanza. Si va a un torneo come a un'elezione: il leader in carica perde, il leader in attesa subentra. E il modo non offende, fa parte della tradizione, non coinvolge gli uomini ma i professionisti. Sento che parlano di un unico precedente storico di andata e ritorno sulla panchina azzurra: Vittorio Pozzo. Già, il grande Padre della Patria calcistica vincitore di due Mondiali, 1934 e '38, che neppure l'astio politico è riuscito a demolire. Io l'ho conosciuto bene, Vittorio Pozzo, il Grande Alpino, l'uomo indipendente da tutto, il tecnico dipendente solo dalle proprie idee. Se sapeste di quante infamie fu oggetto, non perdereste un attimo con il "caso Donadoni". Mi è anzi di gran sollievo dire che, dal dopoguerra a oggi, salve le deprecabili esibizioni di certa critica nell'82, il clima intorno alla Nazionale è migliorato. Adesso dobbiamo solo guardare al Mondiale 2010 e ci servirà prendere esempio proprio dalla Spagna: che vinca o no l'Europeo ha mostrato l'opera di un antico ct al servizio della giovinezza, del gioco, del collettivo e di un aggiornato tatticismo: tutto ciò che mancava alle velleitarie Furie Rosse d'antan. È successo esattamente quel che portò il ct Villalonga e la sua Spagna a vincere l'Europeo 1964 contro l'Urss potentissima: a casa i giocatori del Real onusti di gloria (come stavolta Raul), e avanti col gruppo. L'ho già scritto: quando il Caudillo Franco, madridista convinto, gli chiese di spiegare il segreto della vittoria, Villalonga gli rispose: «Non si vince coi nomi, ma con la squadra». Proprio come l'Italia a Berlino 2006. Adelante Spagna, con tanta simpatia. E avanti Lippi.