La lezione dei grandi scrittori del '900: diffidare delle idee già preconfezionate
Leggere interviste fa compagnia. Con questo volume di cinquecento pagine, se non si è lettori troppo veloci, si possono passare tre buone serate senza neppure un minuto di televisione. Un'intervista, anche scritta, è già di per sé spettacolo, è un po' teatro. Si comincia a leggere e non si riesce a fermarsi. La prima cosa che si scopre o ci viene ricordata è che la letteratura è soprattutto un artigianato. È fatta di abitudini di lavoro. È una tecnica di rapporto con se stessi. Per quanto colto e intellettuale sia lo scrittore, in definitiva ci dice sempre che per scrivere bisogna diffidare delle idee che si hanno, delle idee già pronte e formate. Si tratta ogni volta di ritrovare il contatto con la propria voce, con una lingua realmente parlata e con la sua musica.
O con quel "suggeritore" e commentatore interiore che ci fa notare una cosa piuttosto che un'altra, ci orienta, ci indica qual è per noi il mondo reale e che cosa proviamo davvero di fronte a ciò che vediamo e ci succede (ne parla un narratore complesso come Saul Bellow). Insomma: la verità letteraria non è mai ereditata o prefabbricata. Bisogna trovarla e costruirla da sé. Quello letterario è davvero un mondo di individui.