Ieri scrivevo della mia nonna paterna, scesa dagli Appennini a Parma a inizio Novecento. Singolare come stamane mi arrivi per WhatsApp, da una cugina che sento raramente, una remota immagine della nonna materna.
Qui Ebe, figlia di borghesi, ha ormai 80 anni. Fragile, evanescente, bella ancora, i lineamenti fini e lo chignon argento.
Ma io ti ricordo in un’altra foto, ragazza: statuaria, decisa. Una delle prime donne a frequentare l’Accademia di Brera. E poi cocciuta tanto da convincere i tuoi, a inizio ‘900, ad andare a Londra, per fare la pittrice. Invece là hai conosciuto un italiano, un byroniano come te, e lo hai sposato.
Lui nel ’15 torna in Italia, patriota, per combattere. Tu lo segui con due bambini piccolissimi, ma il traghetto nel marzo del ’16 viene colpito da un siluro tedesco. Caos, urla, assalto alle scialuppe: tu con un bambino e una neonata in braccio, affacciata alla murata. Dal basso ti gridano: lanci la piccola.
Come hai fatto? Il mare, sotto, del colore dell’acciaio. La bambina cade in acqua, nell’urlo corale dei naufraghi. Sei morta, nonna, per un momento? Ma uno sconosciuto si sporge audacemente, afferra la neonata. Nell’imbrunire, mentre il traghetto affonda, il pianto acuto di tua figlia, viva.
Eri morta per un istante, quel giorno. Poi hai traversato due guerre. Sei per me come in quella foto dei tuoi vent’anni: giovane leonessa, ma ignara di tutto, ancora.
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