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La guerra tra i giganti e il futuro del digitale

Gigio Rancilio venerdì 7 maggio 2021

In questa storia non ci sono solo buoni e cattivi che difendono o minacciano la nostra privacy. Ci sono soprattutto due visioni diverse di come debba essere il business digitale e, di conseguenza, il mondo digitale. E ci sono due persone molto diverse (come età, filosofia e stile) che si odiano cordialmente da anni. Stiamo parlando del 37enne Mark Zuckerberg, padre padrone del gruppo Facebook (che annovera anche Instagram, Messenger e WhastApp), e del sessantenne Tim Cook, amministratore delegato di Apple, cioè della società leader nel mondo degli smartphone (anche se produce e vende molto altro: tablet, pc, cuffie, music, giochi, app, eccetera) che nel 2020 ha registrato un fatturato di 274,5 miliardi di dollari, con un utile netto di 57,4 miliardi.
La guerra tra i due è arrivata al culmine qualche giorno fa, quando Apple ha rilasciato una nuova funzionalità per la privacy che richiede ai proprietari di iPhone di scegliere esplicitamente se consentire ad app come Facebook di tracciarli (cioè di registrare i loro comportamenti) su altre app. Così facendo Apple è sicuramente venuta incontro a un'esigenza dei consumatori (avere maggiore privacy), ma ha anche dato un duro colpo al business da 70 miliardi l'anno della pubblicità digitale di Facebook, che si basa(va) soprattutto su queste tecniche di tracciamento, vendendo i nostri dati agli inserzionisti pubblicitari che così possono ottimizzare al massimo i loro investimenti.
La questione Apple-Facebook è abbastanza complessa. Ma una sintesi del "New York Times" ci aiuta a renderla comprensibile a tutti. «Tim Cook (Apple, ndr) vuole che le persone paghino una quota, molto spesso ad Apple, per avere una versione di Internet più sicura e rispettosa della privacy. Mentre Zuckerberg (Facebook) sostiene un'Internet "aperta", in cui servizi come Facebook sono gratuiti, perché sono gli inserzionisti a pagarli, in cambio dei dati degli utenti».
Per la verità, in tutti questi anni abbiamo ormai imparato che nel digitale non esiste nulla di gratuito. E che se qualcosa ci viene offerto gratuitamente è perché la stiamo pagando con i nostri dati.
Non sappiamo come andrà a finire questa sfida. Ci sembra però interessante prenderne spunto per farci una domanda, che ogni giorno diventa sempre più importante: che Internet vogliamo? Detta più semplicemente: che mondo digitale sogniamo per i nostri figli, tenuto conto che abitarlo e farlo funzionare ha (avrà) dei costi sempre più alti e che qualcuno deve (dovrà) sostenerli?
Se dovessi rispondere in prima persona, vi direi che nessuna delle due opzioni mi fa impazzire. Perché la questione non riguarda solo me e il mio potere d'acquisto, ma ognuno di noi. E se per avere un'Internet più rispettosa della privacy dobbiamo pagare ogni servizio, io magari riuscirò a farlo (pur con fatica), ma molti altri non potranno permetterselo. Dall'altra parte sappiamo bene tutti quanto sia diventata invadente e odiosa la pratica digitale di frugare nelle nostre vite e analizzare e catalogare e poi vendere ogni nostra scelta digitale (non siamo solo tracciati quando clicchiamo su qualcosa, ma su tutto quello che facciamo, vediamo, ascoltiamo, diciamo, eccetera). L'ideale sarebbe che la Rete diventasse una sorta di servizio pubblico, ma tenuto conto di quanti Stati poco democratici ci sono in giro nel mondo, temiamo sia un'utopia. Quindi, probabilmente (ma nessuno qui ha la sfera di cristallo), l'"ideale percorribile" sarebbe una via di mezzo. Cioè rendere a pagamento (calmierato) i servizi più importanti e lasciare una parte (gratuita) basata sui dati, dandole regole sempre più precise e rispettose dei cittadini. Poi ci siamo noi. Che dobbiamo ogni giorno imparare ad essere cittadini digitali sempre più consapevoli.