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La guerra di Gaza nella Quaresima digitale

Guido Mocellin sabato 24 febbraio 2024
Manuela Tulli, in un lancio “Ansa” del 15 febbraio (bit.ly/42LB7x3), interpreta come «prove di distensione all'indomani delle polemiche tra Tel Aviv e il Vaticano» (si riferisce alle parole del card. Parolin sulla non proporzionalità della reazione di Israele all’attacco di Hamas, definite «regrettable» dall’ambasciata israeliana) un video di auguri «ai nostri amici e vicini cristiani» per l’inizio della Quaresima diffuso dall’ambasciata e da “Vatican News” (bit.ly/3uKZuhQ). L’ha girato Rachel Goldberg-Polin, madre di Hersh – uno degli ostaggi tuttora prigionieri di Hamas – e portavoce degli altri familiari. Nel suo impegno pubblico, non è la prima volta che Rachel Goldberg-Polin interagisce con i cristiani e la Chiesa: in gennaio, a cento giorni dal 7 ottobre, ha firmato un articolo su “L’Osservatore romano” (bit.ly/3SMuUMN), l’antivigilia di Natale ha mandato un primo video di auguri al Papa e a tutti i cristiani (bit.ly/3uFSh2D), in novembre era a Casa Santa Marta a incontrare papa Francesco insieme ad altri dodici familiari. In entrambi i video, della durata di un minuto circa, la madre di Hersh è ripresa in primo piano, vestita e acconciata sobriamente. Sulla maglietta, un numero ricorda da quanti giorni il figlio è ostaggio di Hamas: a Natale erano 75, alle Ceneri sono 131. Il volto è segnato ma vi compare ugualmente, talvolta, l’accenno di un sorriso. Mi colpisce, nell’ultimo video, il fatto che quasi la metà delle parole di Rachel Goldberg-Polin sia dedicata a spiegare «agli ebrei e ai non cristiani» cosa sia la Quaresima: una catechesi d’esemplare chiarezza nella quale innesta la richiesta di pregare per la liberazione, «molto, molto, molto prima di Pasqua, immediatamente, presto», del figlio Hersh e degli altri ostaggi. Noa, un’“artigiana di pace” La condotta pubblica davanti alla guerra in corso di un’altra donna israeliana, Noa, popolare cantante, musicista e compositrice, ha suggerito a Maria Elisabetta Gandolfi di spendere per lei, con giusta ragione, la qualifica evangelica di «artigiana di pace». Lo ha fatto in un post comparso su “Re-blog” a inizio febbraio (bit.ly/3URbx86), nel quale sottolinea le qualità artistiche che ne fanno una popstar internazionale e la sua familiarità con il pubblico italiano, nonché quel «certo afflato spirituale» che accompagna i suoi concerti, pur definendosi lei «non credente». Il suo attivismo politico l’ha condotta a criticare «apertamente e aspramente sia l’estremismo di Hamas sia quello dei coloni» (vedi l’intervista ad Angela Calvini per “Avvenire” data subito dopo l’attacco bit.ly/3uIX6YV) e a scendere in piazza più volte contro le politiche di Netanyahu; dopo il 7 ottobre «ha imbracciato il microfono» in totale solidarietà con gli israeliani rifugiati dalle zone colpite da Hamas, con gli ostaggi e i loro familiari, con le vittime di violenze sessuali, scrive Gandolfi. La quale, infine, segnala, condividendo due video dalla pagina Facebook ufficiale dell’artista (bit.ly/49rejFg), il suo atteggiamento verso le altre religioni abramitiche e in particolare l’amicizia con Benedetto Bitonto, il sacerdote italiano incaricato del vicariato San Giacomo per i cattolici di lingua ebraica entro il Patriarcato latino di Gerusalemme, e la partecipazione alla loro messa di Natale. Davanti alla crisi col cuore aperto di Gesù Il proposito di trasformare in preghiera l’angoscia che la «guerra di Gaza» suscita è ciò che mi fa apprezzare, infine, il post di Giorgio Bernardelli uscito su “Vino Nuovo” (bit.ly/3UPk0Z8) il 16 febbraio, che rinnova un appuntamento ecclesial-digitale a me caro: la proposta, a ogni venerdì di Quaresima, di una Via Crucis ispirata, nelle meditazioni, dall’attualità e dalla cronaca. Le sette stazioni richiamano l’irruzione improvvisa di Hamas all’alba del 7 ottobre, chi cade fuggendo dentro Gaza o da Gaza (e il cadere nella polvere delle speranze di pace), le lacrime delle madri israeliane e di quelle palestinesi, il nostro scambiare «la solidarietà con un sostegno fideistico a una parte» e la pretesa, negli uomini che si combattono, di essere i soli «giusti», la morte che semina altra morte, i cimiteri presidiati dai militari. Anche in questo testo ci sono cose che mi colpiscono particolarmente. La confessione che il giornalista Bernardelli vi pone in premessa: «Me ne occupo da quasi trent’anni. Ma faccio molta fatica a scrivere su questa guerra di Gaza», e il proposito quaresimale formulato dal battezzato Giorgio: «Voglio provare a guardarla non con la bilancia dei torti e delle ragioni, non con il registro delle analisi geopolitiche. Ma con il cuore aperto di Gesù». © riproduzione riservata