Il testimone, un robusto e complesso romanzo del messicano Juan Villoro tradotto di recente da Gran Via, una piccola e dinamica casa editrice umbra, evoca un periodo terribile della storia del Novecento, gli ultimi fuochi nefasti della Rivoluzione messicana già insediata al potere, tra gli ultimi anni Venti e i primi Trenta, prima che il governo Cárdenas non mettesse un po' d'ordine e portasse un po' di giustizia in un Paese povero e martoriato. Il testimone dice cose importanti e aiuta a capire il Messico di oggi, la sua storia e il suo presente. Narra di un (mediocre) intellettuale che torna al paese d'origine nella regione del Potosí, un ritorno a casa difficile se non impossibile come tutti i ritorni a casa dopo anni di assenza. Testimone e mai protagonista, l'anti-eroe del romanzo Juan Valdivieso è invitato da amici che hanno fatto carriera tra televisione e narcos – le due chiavi della post-modernità? – a collaborare a uno sceneggiato che avrà più di cento puntate, centrato sulla cosiddetta “guerra cristera” che insanguinò il Potosí contrapponendo a una popolazione india, analfabeta e cattolica, il potere centrale, che vedeva nel cristianesimo un nemico del suo modo di intendere il progresso. Era già successo e sarebbe ancora successo in altre rivoluzioni. Non voglio raccontare un romanzo denso di insegnamenti sul Messico di ieri e di oggi, sui modi odierni del potere, e sulla recente rivalutazione in Messico delle vittime della “guerra cristera” anche da parte del potere e della cultura ufficiale, in un'epoca di nuove ipocrisie e diverse violenze, ma ricordare un romanzo che ne trattò prima di Juan Rulfo, di Ibargüengoitia
e di Villoro, Il potere e la gloria di Graham Greene, del 1940. Era la storia di un prete ubriacone e donnaiolo, in continua fuga e costretto a nascondersi, che è chiamato dagli indios a esercitare nascostamente il suo sacerdozio, battezzando, sposando, seppellendo in totale clandestinità, fino al martirio. È un grande, un potente romanzo, Il potere e la gloria. Mi ha molto colpito, anni fa, leggere nelle memorie di Greene il racconto del suo incontro a un ricevimento in Francia con l'allora cardinal Montini che, quando gli presentarono lo scrittore, si emozionò e gli disse che Il potere e la gloria era uno dei libri che più lo avevano colpito, che era orgoglioso di conoscerne l'autore. Greene gli fece osservare che il racconto del suo povero prete peccatore era stato messo all'indice dalla Chiesa. Montini replicò, sorprendendolo: «Ma lei che è cattolico dà importanza a queste cose?». Va ricordato che uno dei primi gesti del pontificato di Paolo VI fu l'abolizione dell'indice dei libri proibiti.