La grande dimissione (negli Stati Uniti)
Cosa sta accadendo? Il ritorno fisico nei luoghi di lavoro, dopo la "libertà" garantita dall'introduzione massiccia dello smart working, ha fatto esplodere criticità e insoddisfazioni tipiche dei lavoratori dipendenti che svolgono ruoli di medio-basso livello. Dopo aver lavorato per 18 mesi a distanza da capi e colleghi (magari poco graditi) e assaporato un nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata, numerosi lavoratori sono entrati in crisi iniziando a percepire l'ufficio come una gabbia da cui fuggire. La pandemia, accelerando un processo già in corso, ha infatti "costretto" in molti a ripensare al proprio modello di vita e alle contraddizioni di una cultura del lavoro che tende a mettere al primo posto produzione e profitto, sacrificando la qualità della vita e il benessere fisico e psicologico delle persone. Il fenomeno non riguarda solo gli Stati Uniti. Sta avendo grande successo su You Tube un meraviglioso video belga ("Adults returning to work"), in cui la necessità di tornare fisicamente in ufficio porta a invertire il classico rapporto genitori-figli: una bimba accompagna mano nella mano il padre riluttante al lavoro, incoraggiandolo ad andarci per ritrovare i suoi piccoli grandi colleghi, e promettendogli un biscotto se farà il suo dovere. In Italia la novità principale nelle prossime settimane è il ritorno in ufficio dei dipendenti pubblici. Nel mondo delle aziende la situazione è invece più variegata. Le grandi e le medie imprese, oltre alle multinazionali, hanno toccato con mano i risparmi economici derivanti dallo smart working riuscendo nel contempo – in particolare nel settore dei servizi – a garantire livelli di produttività analoghi a quelli precedenti. Così come molti lavoratori, anche nel nostro Paese, hanno costruito sullo smart working modelli di vita meno frenetici e "costosi". È facile prevedere dunque che nel mondo del lavoro privato lo smart working non scomparirà, ma continuerà a essere utilizzato, magari alternandolo al lavoro in presenza. E che in Italia, anche a causa di un mercato del lavoro ben più rigido di quello Usa, la great resignation non ci sarà.
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