La frutta secca sta diventando una nuova forza dell'agricoltura italiana
Le vendite quest'anno pare sia siano attestate 625 milioni di euro (il +9,4% rispetto al 2015),
per oltre 52mila tonnellate di prodotto (+4,4%). E il comparto riesce per ora a cavalcare il successo. Anche se i problemi certamente non mancano. Due i punti fondamentali: i grandi produttori e le dinamiche di produzione. Poco tempo fa è nato un colosso dalla joint-venture tra Besana e Noberasco, marchi storici, che hanno dato vita ad un consorzio tra imprese con l'obiettivo di promuovere sinergie sugli acquisti, sui processi di specializzazione produttiva, e sullo sbocco nei mercati mondiali. Programmi in grande come si conviene ad un grande settore. Che proprio per questo attira altri concorrenti come la Orsero (già attiva nella frutta fresca), e che addirittura punta alla quotazione in Borsa entro febbraio. Sul fronte produttivo, fa sempre notare il Corriere Ortofrutticolo, sembra che le aree coltivate stiano effettivamente aumentando.
Per il nocciolo la prospettiva è arrivare a 90mila ettari nei prossimi sette anni, per il mandorlo si è già a 60mila; stesse logiche di espansione sono da registrare per le noci (per esempio in Emilia Romagna). Certo – ha fatto notare un operatore del settore –, rispetto ai colossi produttivi del mercato globale, come la Cina, gli Usa, la Turchia o l'Iran, i nostri volumi sono molto piccoli. Ma i piccoli possono anche crescere e dare del filo da torcere ai grandi. A patto che si risolvano problemi come l'atomizzazione produttiva, la necessità di un catasto aggiornato degli impianti, la scarsa coesione commerciale, il dilagare anche qui dei "falsi" prodotti italiani. Un esempio? Il mercato dei "falsi pistacchi di Bronte" pare abbia raggiunto un rapporto di uno a tre: per ogni chilo di vero pistacchio di Bronte in circolazione, ve ne sarebbero almeno tre contraffatti.