Per la fine dell'anno il valore aggiunto dell'agricoltura farà registrare una diminuzione del 3,5%. A crollare saranno sia le produzioni vegetali (-3,2%), che quelle animali (-2,1%). Bastano queste tre percentuali - elaborate dall'Ismea - per capire che, pur in presenza di buoni successi per alcuni comparti, l'agricoltura italiana deve ancora fare i conti con un bilancio di fine anno in rosso. Ma non sono solamente le aziende agricole a scorgere un brutto orizzonte. Stando sempre ad alcune elaborazioni Ismea, anche le industrie di trasformazione alimentare non sono ottimiste. Nel primo semestre 2006, infatti, l'indice della propensione ad investire dell'industria alimentare si è attestato a -18: il livello piu' basso dell'ultimo triennio.
Guardiamo ai dati più da vicino. Il tracollo della produzione agricola sarebbe dovuto ad una miscela letale di condizioni di mercato, vincoli politici e condizionamenti climatici. Mercato, regole e clima, d'altra parte, sono da sempre le tre spade di Damocle sulla testa degli imprenditori agricoli privi, ancora oggi, di strumenti davvero efficaci per fare fronte almeno ad una parte dei rischi che le loro produzioni corrono ogni giorno.
Poi c'è la situazione dell'industria agroalimentare. La trasformazione di materie prime agricole manifesta apertamente una scarsa fiducia nel futuro. Il dato emerge chiaramente dal fatto che le risposte negative circa la propensione ad investire sono nettamente prevalenti su quelle positive. Secondo l'Ismea, inoltre, la propensione ad investire è risultata particolarmente bassa, oltre che in calo, nel Nord-Ovest (indice -23), ma pure nel Nord-Est. E sembrano particolarmente pessimiste le imprese attive nella trasformazione del riso e delle carni. Una situazione leggermente migliore è stata riscontrata nelle imprese del Centro e del Sud. Non per niente, fra l'altro, a sembrare più attive sono le industrie che lavorano l'ortofrutta. Chi investe, poi, lo fa in comparti tradizionali dell'azienda: le strutture produttive. Solamente il 5% degli imprenditori ha speso risorse economiche per l'innovazione tecnologica e logistica. Restano escluse dagli investimenti - dice ancora l'Ismea - tutte le altre aree come la qualità, le strutture per la vendita, la pubblicità e la promozione.
Insomma, a dare la spinta vera al settore pare manchi sempre qualcosa. È probabilmente una questione di strategie di mercato e di comunicazione commerciale, di alleanze e di capacità produttive che devono superare la semplice logica del prodotto tipico e quindi di qualità. Eppure, i successi riscontrati nelle esportazioni di molti dei comparti di spicco, come quello vitivinicolo, dovrebbero tracciare una strada, così come la dinamicità e l'intraprendenza di alcune realta' agricole sparse per l'Italia, di singole imprese oppure di associazioni di esse. La questione reale da risolvere pero', appare ancora un'altra: come fare a diffondere i successi di pochi in maniera tale che molti ne beneficino?