La «forza sociale» del Giro. E anche di più
Oggi il Giro d'Italia è (e non potrebbe essere diversamente) un fenomeno economico rilevante: lo dimostrano i budget di marketing destinati da Comuni piccoli e grandi per poter ospitare una tappa del Giro, meglio se all'arrivo, e quelli messi in campo da un gran numero di aziende-sponsor. Come vetrina promozionale e commerciale, il Giro è paragonabile ad altri eventi sportivi del massimo livello e si fonda su logiche analoghe. Ma i suoi veri valori sono fin dalle origini - e rimangono tuttora - ben altri. Rappresentano il segreto della sua eterna giovinezza: la capacità di raccontare il "meglio" della nostra identità collettiva, di essere culla e vetrina di valori che partendo dallo sport possono "migliorare" un'intera società. Basta assistere, magari dal vivo, a una qualsiasi delle tappe del Giro per vivere questi valori a fianco dei ciclisti: il senso di una "sfida permanente" che può essere vinta solo superando i propri limiti, l'idea che il vero avversario da battere siano le proprie debolezze molto più che i colleghi che indossano maglie diverse, la necessità di un gioco di squadra in cui il sacrificio dei gregari vale almeno quanto il trionfo del leader, il rapporto simbiotico tra l'uomo e una natura imprevedibile che torna a essere dominante.
Sono valori che "vivono" attraverso l'esempio del sacrificio, scolpito nei volti e nelle gambe di ciclisti pronti a dare tutto. Perché che vinca Vincenzo Nibali (come si augurano milioni di italiani) o Nairo Quintana o un outsider, rimarrà impresso nelle menti e negli occhi di tutti noi anche qualcos'altro. E sarà qualcosa di buono.
@FFDelzio