Ammettere la propria fragilità, confessare la propria debolezza: imperdonabile perché incomprensibile, soprattutto per l’universo maschile che troppo spesso coincide con l’universo tout court. Tre dimissioni eccellenti di tre donne leader – a capo dei governi di Nuova Zelanda, Scozia e YouTube, che non è uno Stato ma è forse più potente – stanno innescando reazioni e commenti sui quotidiani. A scrivere sono assai spesso donne solidali. Ma sbaglieremmo a generalizzare. Per questo ci va di cominciare dalla debolezza ammessa da un uomo, quella del senatore Usa John Fetterman. Viviana Mazza (“Corsera”, 18/2) racconta che il gigante della Pennsylvania «ha fatto sapere di essersi ricoverato in ospedale a Washington per depressione clinica, su consiglio del medico del Congresso». E subito da destra piovono le richieste di dimissioni per «la fragilità di quest’uomo nerboruto». Farebbe meglio a dimettersi pure lui? Due femmine e un maschio intervengono sulle dimissioni eccellenti. Sono Concita De Gregorio (“Repubblica”, 19/2): «Dimettersi dal potere non è perdere»; Chiara Saraceno (“Fatto”, 20/2): «Il potere non è tutto: perciò le donne sanno rinunciare»; e Umberto Galimberti (“Stampa”, 20/2, titolo: «Schiavi del mercato perdiamo noi stessi, così ci dimettiamo anche da posti di potere») con una riflessione sul senso (smarrito) della vita che parte da lontano e arriva lontanissimo. Ultime righe: «Naturalmente non tutti se lo possono permettere, ma la decisione presa da chi può serve ad avvertirci che il potere e il denaro non sono ciò a cui val la pena consegnare la propria vita, smarrendone in tal modo il senso e il suo possibile significato». Ma la debolezza può celare sorprese, a modo suo. Sulla “Repubblica” (19/2) Lara Crinò – titolo: «“Vi svelo il potere nascosto della malinconia”» – presenta il libro di Susan Cain sugli introversi: «Ci stiamo educando finalmente a non nascondere il dolore». E in una delle puntate più riuscite della sua rubrica «Ultimo banco» sul “Corriere” (20/2) Alessandro D’Avenia svela più d’un segreto su quella diffusa, spesso derisa “debolezza” che è la timidezza: «Un germoglio è la “incapacità” o la “timidezza” dell’albero? Non è strapazzandolo che cresce e rinforza, ma curandone le radici e rispettandone i tempi». Da leggere e mettere da parte.
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