Gli anni che stiamo vivendo sono i più caldi di sempre, mostrando una sequenza impressionante di eventi estremi, eppure il fenomeno del cambiamento climatico è ancora negato o fortemente sottovalutato da istituzioni e cittadini. L'unica arma contro una pandemia che sembra infinita è la vaccinazione di massa, eppure una quota rilevante di occidentali rifiuta il vaccino per ragioni che svariano tra esoterismo, ignoranza e paura. La principale causa della maggior parte delle malattie di oggi è la cattiva alimentazione, eppure la conoscenza di ciò che realmente mangiamo rimane nel cittadino medio ad uno stadio primordiale. Sono solo gli esempi più eclatanti di una grande questione che impatta sulle nostre vite, tagliando trasversalmente economia, società e politica: il tremendo deficit di un approccio "science based", che fondi decisioni, opinioni e valutazioni della classe dirigente e della maggior parte dei cittadini sull'analisi e sull'oggettiva interpretazione dei dati. Ne deriva una separazione (sempre più evidente e sempre più pericolosa) tra pensiero e verità scientifica, che sembrano oggi cavalli liberi di correre in direzioni diverse nel territorio infinito della conoscenza. La voce di chi elabora e diffonde i dati, in ogni ambito, è debole e confinata quasi sempre in ambito tecnico: non ha impatto significativo sulla comunicazione, non crea dibattito e non influenza l'opinione pubblica, di conseguenza (nell'epoca dell'equazione politica uguale comunicazione) incide poco sulle scelte della politica. Eppure la diffusione dei fenomeni "no vax" e "ni vax" rende oggi evidentissima la necessità di costruire una "cultura dei dati": operazione complessa, ma ancora più urgente in un Paese come l'Italia caratterizzato da un tasso di scolarizzazione molto basso. Servirebbe attivare da subito percorsi di formazione sulla lettura e sull'interpretazione dei dati – soprattutto in ambito sanitario, economico e finanziario, industriale e alimentare – e organizzare strumenti per una loro adeguata diffusione su "old e new media" (utilizzando la RAI in primis e piattaforme digitali dedicate) oltre che nel sistema scolastico. «Conoscere per deliberare», direbbe Luigi Einaudi. È una missione in cui dovrebbero spendersi da subito il Governo Draghi e le migliori Università: creare una nuova "infrastruttura della conoscenza" accessibile a tutti, la cui mancanza oggi rischia di vanificare ogni strategia di massa del decisore pubblico.
Per commentare la rubrica con l'autore, scrivi a: fdelzio@luiss.it