Avvenire nei giorni scorsi gli ha già dedicato il giusto spazio: ma come posso, in questa rubrica che da anni tenta di raccontare la dignità dello sport come strumento di inclusione, di educazione, di benessere, a non parlare di loro? In questo Paese la follia nei confronti del calcio è diffusa, ma oltre che toccare le corde della passione per la squadra del cuore sconfina in follie molto meno edificanti come la violenza, gli squilibri economici, la criminalità: è proprio di questi giorni l’ennesimo agghiacciante reportage sulle infiltrazioni mafiose nei gruppi ultras realizzato da La via libera, la rivista dell’associazione Libera di don Luigi Ciotti. Tuttavia in Italia – e dobbiamo esserne orgogliosi – c’è un calcio dove la follia, intesa in senso clinico, fa urlare di gioia i tifosi sugli spalti, aiuta e migliora la qualità della vita dei protagonisti in campo. E, alla fine, vince anche. L’Italia di “Crazy For Football” si è infatti aggiudicata la prima edizione della “Dream Euro Cup 2024”, il campionato europeo di futsal dedicato alla salute mentale, battendo in finale l’Ungheria, con il punteggio di 3-2, al Palazzetto dello Sport di Roma. Fondata dallo psichiatra Santo Rullo, la Nazionale Crazy for Football rappresenta un progetto di inclusione sociale, in cui lo sport ha un ruolo di primaria importanza nella riabilitazione psichiatrica e nella sensibilizzazione contro lo stigma legato alla malattia mentale.
«Cosa rimane oggi– si chiede don Ciotti – di uno sport popolare che faceva sognare i ragazzini e accendeva discussioni animate nelle famiglie, nelle scuole, nelle fabbriche e in ogni luogo della socialità quotidiana? Poco, purtroppo. A inquinarlo, prima della criminalità organizzata, è stato un capitalismo senza ideali che per massimizzare i profitti è disposto a mettere tutto il resto tra parentesi, a partire dall'etica», concludendo che «il calcio è malato, la cura è la gente». Sarebbe bello che al capezzale del nostro calcio ci fossero Santo Rullo, geniale ideatore di questo progetto, il ct Enrico Zanchini, oppure uno degli atleti azzurri come Peppe Cardilli, paziente psichiatrico e promotore di un festival sulla salute mentale a Cori, in provincia di Latina, l’InSania Fest, che così ricorda quei primi segnali da adolescente, quindicenne: «Mi sono allontanato da tutti, avevo pensieri ossessivi. A 24 anni ho avuto un esordio psicotico e il mio primo Tso. Finché la società sarà basata su competizione e profitto, sul concetto di prevaricazione dell’individuo sull’individuo, le persone continueranno ad ammalarsi. Il nostro progetto promuove un’altra visione: la solidarietà. Solo così possiamo trovare un posto nel mondo». Già, perché fra i tanti meriti c’è anche quello di far indossare la maglia azzurra a ragazzi migranti arrivati in Italia dopo il terribile viaggio della speranza e caduti in un secondo inferno, quello della salute mentale. Ma il calcio, anzi proprio la palla, è più forte di tutto e di tutti. Bisognerebbe riconoscere al dottor Santo Rullo un premio all’altezza: per esempio il Nobel. Tuttavia, essendo schivo, magari si arrabbierà con me dicendo che le sparo grosse come quando scherziamo sul rispettivo tifo calcistico. Allora, caro Santo – senza titoli, ed essendo orgoglioso della tua amicizia–, facciamo così: candidiamo la palla, proprio nel senso dell’oggetto sferico ed elastico, al premio Nobel per la Pace.
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