Si chiamava Boom il processo di crescita sociale negli anni 60. Non ero in grado di riflettere su quanto stesse accadendo, mi apprestavo a vivere la mia adolescenza. Era una onomatopea presa in prestito dalle guerre descritte dai cartoni animati. L'esplosione non poteva essere che positiva. Vedevo sparire i campi con la più fertile terra agricola del mondo, così sosteneva Haussmann, ed apparire palazzoni, che sembravano fatti di cartone. Alcuni arricchivano, altri cadevano dalle impalcature, così ben dipinte da Fernand Léger, in braccio al Padreterno. L'odore di fieno venne sostituito da quello asmatico del cemento. La gente cambiava auto ogni cinque anni, alcuni anche tre, poi i mobili di casa ed infine le cucine. Ogni crisi economica veniva definita "crisi di crescita". Questa espressione è stata divelta dal dizionario, dalla conversazione anche dei più paciocconi. Ora che la frittata si è girata, eccoci a parlare di decrescita compatibile e/o felice. Autori come Latouche e Pallante hanno incominciato ad offrirci questo aerodinamico paracadute. Ho assistito come testimone alla crescita rabbiosa ed infelice; ho tutta l'impressione che la decrescita sarà meno felice ancora, non un semplice tiramolla di fisarmonica. Salvo, va da sé, l'alito della speranza.