Il cardinale Carlo Maria Martini sosteneva che dentro ogni credente vi era un non credente, e che i due dovessero dialogare affinché il non credente purificasse la fede del credente. Eric-Emmanuel Schmitt, noto romanziere francese, ha più volte rivendicato la sua fede cristiana accanto alla sua razionalità filosofica (ha studiato Diderot lavorando a stretto contatto con Jacques Derrida). In un suo romanzo, L’uomo che vedeva attraverso i volti (edizioni e/o), tutto incentrato su una filosofia della religione condotta con le modalità dell’inchiesta giudiziaria e dell’indagine giornalistica, lo stesso Schmitt, qui anche nei panni di un personaggio, dialoga con Augustin Trolliet, il protagonista, il quale sbotta: «Certo, un filosofo non diventa aggressivo perché dubita. Ma un uomo di fede non dubita». Al che lo Schmitt personaggio, che riflette chiaramente lo Schmitt autore, se ne esce così: «Sì, invece! Io credo e dubito insieme. Il mio dubbio e la mia fede camminano in parallelo lungo una frontiera comune, perché non abitano nello stesso paese. Il mio intelletto continua a sondare, perché Dio non ha a che fare con la scienza, la sua esistenza non si può dimostrare come due più due uguale quattro. E la mia fede avanza vigorosa, stabile, incrollabile nel proprio campo, il cuore, il ricordo, la ricettività, l’immaginazione». Dubbio e fede non sono dunque estranee, ma più vicine di quello che si crede.
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