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La fede come un granello di insensata e folle speranza

Luigi Verdi giovedì 27 giugno 2024
XIII Domenica del Tempo ordinario - Anno B Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum» che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Le storie si intrecciano, morte e vita si impastano e quando c’è di mezzo Dio possiamo esser sicuri che abbonderà solo la vita. Sembra quasi di stare là, leggendo questo brano di Vangelo, tra donne e bambine, con padri di famiglia e una moltitudine di gente che pigia. E Gesù lo vediamo in cammino, con calma, senza fretta, nonostante la morte che bussa alla porta di Giairo: l’ansia non lo prende, solo una folla che spinge, una ressa di curiosi che intralciano il cammino. Lui se ne va tranquillo, a dare ancora una volta uno scacco alla paura, a sconfiggere la nostra impotenza davanti al dolore. Le storie si intrecciano e si intrecciano anche le mani oggi: «Vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva»; e poi la mano dell’emorroissa, che tocca il mantello alle spalle; e la mano di Gesù, che afferra quella della bimba per strapparla al sonno della morte. La nostra fede ha bisogno di mani più che di pensieri e filosofie, si alimenta di gesti concreti, passa attraverso speranze irrazionali «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti…, Non temere, tu continua ad aver fede…» : anche a costo di essere insultati, anche se il rischio è quello di attirare sberleffi e sorrisetti sarcastici la fede si intreccia alla paura e con lei tesse fili di incredibile fattura. Mi commuove l’ostinata emorroissa, convinta che basterà un tocco, come una carezza al lembo del mantello, per guarirla: da dove prende questa convinzione? Chi le suggerisce questa caparbia idea? E il povero Giairo, come avrà percorso quegli ultimi metri che lo separavano dalla sua casa, sapendo già che la sua figlioletta era morta? Solo la disperazione di un padre può aver guardato a Gesù come all’ultima spiaggia nel naufragio delle speranze. E in fondo quel che oggi leggiamo è la fede dell’ultima spiaggia, forse perché soltanto chi sogna la luce nello sgomento delle tenebre più profonde, può trovarla. Le parole sono delle intruse tra noi e Dio: servono mani e occhi coraggiosi. «Mi basta toccare il mantello, mi basta che tu entri nella mia casa» questa poca fede a Dio basta. «Mi basta vederlo passare», penserà Zaccheo, «mi basta una tua parola per guarire il mio servo», manderà a dire il centurione a Gesù. La nostra fede è un pizzico di coraggio, un granello di insensata e folle speranza. Quel che basta a noi basta anche a Dio: là, su quella cha a noi sembra l’ultima spiaggia, troveremo Qualcuno che, afferrando la nostra mano, ci porterà a navigare oltre noi stessi e che ci ripeterà con infinito amore: «Alzati. Facciamo ancora un paio di bracciate insieme». (Letture: Sapienza 1,13-15; 2,23-24; Salmo 29 ; Secona Corinzi 8,7.9.13-15; Marco 5,21-43) © riproduzione riservata