Lo sgorgo di divinità lo si sente quando il dolore ci ha fatto inginocchiare. Al punto che la prima avvisaglia del dolore ci dà un moto di gioia e di gratitudine, di aspettazione" La massima sventura è la solitudine, tant"è vero che il supremo conforto - la religione - consiste nel trovare una compagnia che non inganna. La preghiera è uno sfogo come con un amico.Sto leggendo il libro intenso che un vescovo, Giuseppe Molinari, ha scritto sulla ricerca religiosa di Cesare Pavese ("O Tu, abbi pietà", ed. Ancora): ne rimango coinvolto perché ho sempre amato questo scrittore dall"esistenza approdata al tragico estuario del suicidio, ma pervasa da un forte anelito verso il mistero e il divino. Scelgo alcune citazioni incastonate nel volume dell"arcivescovo dell"Aquila: sono conosciute ma meritano di essere riproposte. Due sono le realtà prese di mira; forse sono solo due volti antitetici ma complementari della stessa esperienza umana. Da un lato c"è l"amarezza della solitudine, una sorta di prigione che tanti non riescono a varcare, anche perché al di là non c"è nessuna mano e nessuna presenza. Per questo, Pavese scriveva che «solo la carità è rispettabile. Cristo e Dostoevskij, tutto il resto sono balle». Anche quel suo celebre verso: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi» era l"estrema attesa di uno sguardo d"amore, sguardo che purtroppo in quel caldo giorno d"agosto del 1950, il giorno del suicidio, gli è mancato. Ma, d"altro lato, c"è un profilo sorprendente che la sofferenza rivela ed è ciò che lo scrittore esprime con un"immagine forte, «lo sgorgo di divinità». Il dolore è come uno strato di terra e di pietrisco che ha sotto il fremito e la pressione dell"acqua: basta saper attendere con coraggio, ed ecco erompere la luce, la vita e Dio stesso.