La corsa all’oro nel Nord America alla fine dell’Ottocento determinò una febbrile migrazione di persone che sognavano di diventare ricche trovando il prezioso metallo lungo i fiumi. Per molti fu solo un’illusione. Eppure, la febbre dell’oro, grazie anche ai romanzi di Jack London e alle successive trasposizioni cinematografiche, è stata in qualche modo mitizzata. Senza dimenticare che La febbre dell’oro è anche il titolo di un vecchio film di Charlie Chaplin e di un programma televisivo statunitense molto più recente a cui, da giovedì, possiamo aggiungere Monte Rosa: la miniera perduta, il primo docureality tutto italiano (prodotto da Formasette) dedicato ai cercatori d’oro, in onda in prima serata su Dmax e in anteprima su Discovery+. Ad avventurarsi sulle tracce dell’antica popolazione celtica dei Salassi, che scoprì l’oro alle pendici del Monte Rosa, sono cinque avventurieri: lo storico Franco Midali, il geologo e cercatore d’oro Giorgio Bogni, l’esperto in tecniche di sopravvivenza Gabriele Succi, lo speleologo Matteo Di Gioia e l’unica quota rosa: la speleologa e alpinista Paola Veronelli. Il docureality li segue nella ricerca del leggendario filone aurifero. Quanto poi nelle loro peripezie ci sia di realmente scientifico si può anche discutere, ma qui quello che conta è la storia, il modo di raccontarla e la capacità di coinvolgere il telespettatore, anche sul piano emotivo. A dimostrazione basterebbe la didascalia che appare in chiusura: «Alcune scene drammatizzate per i fini narrativi sono comunque realizzate nella piena osservanza delle normative per la sicurezza». Conta anche l’approfondimento psicologico dei personaggi attraverso il cosiddetto «confessionale» e la predisposizione di alcuni di loro al ruolo di leader. Letto in chiave di show più che di documentario, Monte Rosa: la miniera perduta diventa anche interessante, oltre che piacevole.
© riproduzione riservata