Metterci la faccia, perdere la faccia, una bella o una brutta faccia, faccia tosta, faccia di bronzo; la proliferazione delle faccine di Wa; l'abbinata faccia/interfaccia dell'informatica; il trionfo della faccia di Facebook. Faccia, "aspetto esteriore, sembianza, apparenza", è la parola simbolo dei nostri giorni, improntati alla comunicazione visiva e all'affermazione dello spazio, che tutto controlla e profila. Così fortunata e pervasiva da eclissare e sostituire "volto", parola ben più ricca e dinamica, che evoca la dimensione del tempo e la sfera dell'animo: è il volto che manifesta e ritma l'età non solo biologica ma anche interiore, i moti di gioia e dolore, di serenità e turbamento, di bontà e cattiveria. Volontà e sentimenti sono testimoniati dal volto e non dalla faccia. Questo dice la lingua con Isidoro: «Tra faccia e volto è dunque una differenza; faccia designa semplicemente l'aspetto naturale di ciascuno, mentre volto esprime gli stati d'animo» (Etimologie 11, 1, 34 et differunt sibi utraque. Nam facies simpliciter accipitur de uniuscuiusque naturali aspectu; vultus autem animorum qualitatem significat); questo dice l'etica con Levinas: «Noi chiamiamo volto il modo in cui si presenta l'Altro. La vera natura del volto sta nella domanda che mi rivolge. Il volto … traccia dell'infinito».