L'umanità si divide in due. Chi, ripensando al proprio passato, proclama “io rifarei tutto quello che ho fatto”; e chi confessa “io cambierei un sacco di cose, forse cambierei tutto”. Al secondo gruppo possiamo oggi iscrivere una grande rockstar: «L'acuto triste di Bono Vox: “Mi imbarazza riascoltare molte canzoni degli U2”» (titolo della “Stampa”, 20/1). Scrive Marinella Venegoni: «Un paio d'anni fuori dalle scene, come chiunque, una scomparsa senza appello dai media, e all'improvviso ci ritroviamo Bono immerso in un impietoso autodafé». Inevitabile che anche nelle reazioni l'umanità – non esageriamo: critici musicali e corsivisti – si divida in due. Drastico è l'autorevole Gino Castaldo (“Repubblica”, 20/1, titolo: «Salvate il soldato Bono Vox dalla follia»: «Succede – scrive Castaldo – anche le rockstar possono impazzire». Bono getta «palate di malevolenza su qualità e storia del gruppo», un gruppo da 200 milioni di dischi venduti, 45 anni di storia e «decine di canzoni che hanno coinvolto, travolto e stregato milioni di appassionati che ci hanno creduto». Che tra costoro ci sia pure Castaldo? Che oggi si sente tradito e deluso? Del tutto opposto il parere di Massimo Gramellini nel suo consueto spazio sulla prima pagina del “Corriere” (20/1): «Varcata ampiamente la soglia della maturità, un individuo ha il diritto di non riconoscersi più in ciò che è stato (...). L'insoddisfazione non è per forza la conseguenza di un fallimento. Tormenta anche chi ha conosciuto il successo e, purché assunta a piccole dosi, forse ne rappresenta il segreto». Bono però non assume piccole dosi, ma piomba in overdose autocritica. Autocritica alla quale dovrebbe forse essere invitato anche l'anonimo estensore del servizio su “Libero” (20/1, titolo: «“Che imbarazzo i miei brani”», che attribuisce a Bono questo virgolettato: «Nella nostra testa U2 avrebbe dovuto avere l'effetto dell'aereo spia U-Boot», che però è un sommergibile tedesco. Imbarazzo generale.