Comparse. La donna del fiume
L’apologo si ritrova identico in tutte le tradizioni monastiche, dal cristianesimo al buddhismo. La sua forza sta in una semplicità limpida e disarmante. Allora, ci sono due monaci in cammino, uno è giovane e l’altro anziano. Arrivati nei pressi di un guado, incontrano una donna che deve passare sull’altra riva. Il giovane la prende sulle spalle e la trasporta così, alla buona. Ma l’intraprendenza del confratello scandalizza il più anziano, che per il resto della giornata non fa altro che rimproverarlo. Un monaco non può permettersi certe confidenze, ripete, il contatto con il corpo femminile espone all’impurità, contamina, corrompe… Il più giovane, che non dev’essere nuovo a rimostranze del
genere, per un po’ sopporta, ma a un certo punto gli risponde con straordinaria saggezza: « Io ho lasciato quella donna laggiù, non è che tu invece la stai ancora portando con te?».
C’è una leggerezza meravigliosa in queste parole, una noncuranza che non è disprezzo ma comprensione. Nella memoria del giovane monaco alla donna è stato assegnato il ruolo – niente affatto avvilente – della comparsa che per un momento ha reso possibile l’esercizio della compassione. Solo attraverso questa purezza di sguardo si riesce a riconoscere l’altro per quello che è: un compagno e un dono, non un nemico.