Coi tempi che corrono, c'è un grande bisogno di dolcezza e un'utile riflessione in argomento è offerta da La potenza della dolcezza, di Anne Dufourmantelle (traduzione di Mario Porro, Vita e Pensiero, pagine 136, euro 15,00). L'autrice, psicanalista francese, è morta a 53 anni nel 2017 mentre cercava di salvare due bambini dall'annegamento, e questa tragica circostanza testimonia che la dolcezza può ben coniugarsi con il coraggio e la generosità. Quello di Anne è un libro che non ci si aspetterebbe da una studiosa francese: niente idee chiare e distinte, Cartesio non viene disturbato e io ne sono molto contento perché da sempre sto dalla parte di Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762) che ha coniato il termine "estetica" per fondare filosoficamente la dottrina del bello (pulchrum), teorizzando le idee "chiare e confuse". Dunque, non cercherò di trarre dal libro un senso unitario (che non c'è): mi limiterò ad antologizzare alcune intuizioni per mostrarne la suggestione emotiva. Non che l'autrice sia incline a un discorso irrazionale: anzi, quando occorre attinge da Aristotele il concetto metafisico di potenza: ma indicare la "suggestione emotiva" del ragionamento mi sembra appropriato. Cominciamo: «La contiguità con la bontà e la bellezza rende pericolosa la bellezza per una società che non è mai così tanto minacciata come dal rapporto di un essere con l'assoluto». «La dolcezza è in primo luogo un'intelligenza, di quelle che sorreggono la vita, e la salvano e l'accrescono. Perché essa dà prova di un rapporto col mondo che sublima lo sconcerto, la violenza possibile, la sottomissione, il puro assenso alla paura, può modificare ogni cosa e ogni essere. È una comprensione della relazione con l'altro di cui la tenerezza è la quintessenza». «Per i Greci, la dolcezza è il contrario dell'hybris, della dismisura che si impadronisce dell'uomo in preda a ciò che oggi chiamiamo le sue "pulsioni", ma essa non è neppure il rigore morale, no, la dolcezza appartiene in un certo senso agli dèi più che gli uomini». «La difficoltà dei Greci sta nell'affrontare la dolcezza o la sophrosyne (temperanza) senza scalfire i valori del coraggio, della fermezza e dell'attitudine alla guerra necessari a ogni comunità politica». «Il contrario della dolcezza non è la brutalità o la violenza stessa, è la contraffazione della dolcezza: quel che la perverte mimandola. Tutte le forme di compromesso, di soavità fasulla, di brodaglia sentimentale. Tutte quelle parole d'ordine soavemente ma fermamente imposte da una società che ha troppo poca armonia sono contraffazioni pericolose. Più della brutalità, esse ne pervertono la natura o piuttosto la relazione. La dolcezza, infatti, stabilisce una relazione con il mondo, con l'altro, col principio della vita stessa - da cui proviene». Ci fermiamo qui. È sufficiente per capire dove siamo e dove stiamo andando.