La diversità? Sta dentro gli occhi di chi guarda
Ieri ho dovuto prenotare un albergo a Roma. Cercando, ne trovo molti pieni. A un certo punto mi arriva davanti al monitor l'«albergo etico». Prezzo buono, proprio accanto alla metro. Prenoto. Arrivo alla struttura. Mi accoglie Alex, sorridente. «Prendo io la valigia!», dice deciso. «Non importa, è leggera». «Ma lei è sicuramente stanco, ha viaggiato. La lasci a me». Sorrido ed entro. Vengo accolto come si accoglie un ospite a casa. Un altro ragazzo mi accompagna in camera, arredata con gusto e colori. Nell'albergo lavorano ragazzi e ragazze con disabilità, esiti di post coma, sindrome di Down e sindrome di X fragile, con età e mansioni diverse: si occupano di pulizia delle camere, facchinaggio e accoglienza. Divisi tra i piani imparano il mestiere sotto la supervisione del direttore. La disabilità fa riflettere, certo. Ci fa commuovere e sperare che anche noi, se fossimo disabili, potremmo farcela in qualche modo. Credo, semplicemente, che fino a quando la nostra società non accetterà realmente l'esistenza di qualcosa di diverso, difettoso o malato – al netto di campagne elettorali o programmi televisivi strappalacrime – la disabilità, per risultare una condizione di normalità, dovrà essere vista come eccezionale, eroica, fuori dal normale.
Davide si avvicina al mio tavolo mentre faccio colazione e mi sorride: «Quella crostata alle fragole è molto buona, ieri ne ho assaggiato un pezzetto!». Poi scruta interrogativo il mio auricolare: «Non l'ho mai visto così, con la spina in vista. È un modello nuovo?». La diversità sta negli occhi di chi guarda, evidentemente.