Mai dare nulla per scontato. La democrazia, per esempio. Quando un popolo smette di desiderarla, amarla con passione, sospirare per lei, tutto è pronto per il divorzio. Ne scrive Luigi Manconi sulla “Stampa” (21/5, titolo: «L'appannamento della democrazia»). Sembra, scrive Manconi, che la micidiale doppietta pandemia-guerra ci abbia annebbiato le idee, rendendoci meno capaci di cogliere «la frattura irreparabile tra una democrazia pur gravemente immatura e un regime autocratico». Tutto sembra mescolarsi e confondersi. «Ma è totalmente falso. La democrazia più imperfetta (come è, forse, il caso dell'Ucraina) è cosa assai diversa da un sistema autoritario o autocratico o totalitario o dittatoriale (secondo le classiche definizioni e graduazioni della scienza politica)». Una conferma indiretta arriva sul “Corriere” (22/5) da Filippo Andreatta, docente di relazioni internazionali all'Università di Bologna, intervistato da Aldo Cazzullo. Titolo: «Essere una democrazia conta. Ora Kiev può vincere su Mosca». Domanda: «Le democrazie vincono sempre?». Risposta: «Non sempre, ma quasi. Nella letteratura scientifica è un'opinione consolidata che le democrazie abbiano alcuni vantaggi militari, almeno nelle guerre convenzionali. Lo dicevano Erodoto della democrazia ateniese, e Machiavelli della Roma repubblicana». Ci vorrebbe un parere autorevole sulla Guerra del Peloponneso, quarto secolo a. C., quando la democratica Atene non vince sull'autocratica Sparta, ma soprattutto comincia il declino della Grecia intera. Poca ricchezza, tanta povertà. Il contrario di quanto rivela il Rapporto Oxfam presentato a Davos al World Economic Forum, di cui sulla “Stampa” (23/5) riferisce l'inviato Fabrizio Goria. Titolo: «Il Covid ha arricchito i Paperoni. In due anni 573 miliardari in più». E se anche la guerra in Ucraina provocasse un esito simile?