La cultura del Prosecco patrimonio Unesco? L'Italia già pronta a brindare
Le colline del territorio candidato – spiega una nota del Ministero delle Politiche Agricole – sono un esempio di paesaggio culturale evolutivo, caratterizzato cioè da un processo continuo, evolutosi nella storia, attraverso il quale la comunità locale, la sua cultura artistica e le tecniche produttive si sono organizzate in risposta a caratteristiche dell'ambiente fisico del tutto particolari. Sapienza produttiva e paesaggistica non bloccate al passato, dunque, ma continuamente in evoluzione senza dimenticare quello che è stato. La candidatura all'inserimento nel prestigioso sito dell'Unesco ha, è importante non scordarlo, due riflessi: da un lato valorizza il grande valore culturale e ambientale che la nostra agricoltura conserva, dall'altro rafforza il posizionamento a livello mondiale di una delle produzioni vitivinicole più pregiate e apprezzate del nostro Paese. Tutto adesso si giocherà nei prossimi mesi, quando sarà il Comitato mondiale Unesco che dovrà decidere se accogliere o respingere la domanda dell'Italia.
Ma il fatto di aver presentato una richiesta di questo genere è comunque quello che ci vuole, soprattutto in un periodo caratterizzato da forti pressioni economiche e commerciali. Alle quali comunque proprio il Prosecco pare stia rispondendo bene. Coldiretti ha fatto notare, per esempio, che nel 2016 le vendite nel mondo di questo vino sono cresciute del 25% mettendo il Prosecco nella posizione di vino italiano più
esportato. A partire dai 79,2 milioni di bottiglie di vino certificato come Docg, corrispondenti a 593.798 ettolitri. E pensare che tutto accade in una zona di circa 5.000 ettari di vigneto su cui lavorano grosso modo 3.000 agricoltori ma che ha saputo creare nel tempo 20 poli museali, numerosi itinerari di interesse a carattere storico ed enogastronomico, tra cui la prima strada del vino inaugurata nel 1966.