I cani da guardia si chiamavano sempre Fric. Mutargli il nome, per mia madre , sarebbe stata un'inutile futilità. Certe notti il cane sembrava si strangolasse, tanto abbaiava. Eravamo isolati e l'unica luce si proiettava dalla porta che si apriva, dalla quale mio padre usciva nel tonfo del buio a gridare: «Chi è?» Io, piccolo, mi rannicchiavo sotto le lenzuola. Solo d'inverno, le galline non dormivano sugli alberi, cui salivano da una scala a pioli, di ramo in ramo, come il barone rampante di Calvino. Sembravano grossi frutti su strani alberi della carne. Verso l'alba, uno di questi frutti, il gallo, decretava il nuovo giorno. Tutto aveva un rimando, era come se la materia, nella natura,inoltrasse un cantico simile a quello delle Creature. A primavera, la chioccia veniva messa al buio, in un cesto a covare. S'iniziava a spiare, ogni qualche ora, dal XIX dì, finché i pulcini, beccando dall'interno del guscio, con un'azione contraria a quella nella "giara" di Pirandello, venivano al mondo. Mia madre, allo scuro, controllava le uova mettendole fra sé e i raggi di una candela. «Ecco, -diceva- è essenziale come la luce dello spirito santo». Le uova non fecondate venivano dette, con disistima, "ciuccone" cioè ubriacone; e passava una stagione in più.