È il giorno della sagra. Nel duomo viene esposta una bolla di indulgenza post-tridentina, a firma di Pio IV, lo zio di Carlo Borromeo. Coincide con il giovedì di pasqua, giorno lavorativo. Misteriosamente però, fra le tante bancarelle di gusto ormai globalizzato, girano migliaia di persone, gomito a gomito, che non ho mai capito da dove possano saltar fuori tutte insieme all'improvviso così. Di pomeriggio, dopo tutte le funzioni con i relativi incensi ed il pranzo consumato presso un amico, ne accompagno un altro alla stazione ferroviaria, per il suo rientro a Milano. C'è un esubero di persone anche lì ed i vari convogli che giungono riversano pubblico per le piazze, mentre quelli in partenza scremano i visitatori, contenendone il numero. Intendiamoci, non vi è sagra che non abbia qualche scheggia dei film di Fellini o del più pacato e meditativo Olmi. Qualche ragazzo, magari per una birra in più, attraversa i binari. Uno è accanto a me. La sua ragazza e il mio amico salgono sul treno insieme. Siamo all'ultima carrozza, che lui raggira e scavalca i binari. È investito in pieno. Dico subito un requiem per lui e una preghiera per i genitori ignari. Scene da fine del mondo, pianti ed invocazioni. È un fuoco d'artificio di carne, una costellazione di vita, un mosaico tremendo per l'aldilà.