La corsa ai terreni agricoli continua
A sollevare il problema è stata la Coldiretti, che spiega come l'acquisto dei terreni in Africa e Sud America avvenga per scopi agricoli, ma che l'interesse si estende anche alle risorse minerarie ed energetiche che vengono sottratte alle comunità locali. Diverso il caso dell'Islanda. L'acquisto di terreno da parte di uno degli imprenditori immobiliari più ricchi in Cina, ha l'obiettivo di realizzare un resort per ecoturismo con un progetto di 100 milioni di dollari.
Ma Pechino non è nuova a queste operazioni e, anzi, dimostra di perseguire una strategia di approvvigionamento alimentare che deve far pensare. Il Paese, infatti, è stato il principale protagonista dell'acquisto di terreni coltivabili nel mondo a partire dal 1995 nello Zambia, per poi investire in 3 milioni di ettari di terreno per la sola coltivazione del riso un po' in tutta l'Africa, oltre che in Messico, Cuba, Laos. È un'operazione effettuata con oculatezza, andando a cercare i terreni migliori e a più buon prezzo. In Africa, per esempio, il terreno costa meno e sono stati firmati accordi in materia di cooperazione agricola che hanno portato all'insediamento di 14 aziende di Stato in Zambia, Zimbabwe, Uganda e Tanzania, mentre si prevede che presto un milione di nuovi imprenditori agricoli cinesi potrebbe essere presente nel continente.
Tutto ciò ha un nome e una condanna. Il nome è "land grabbing" e la condanna è arrivata dalla Fao, perché l'accaparramento di terreni agricoli sottrae le risorse primarie ai Paesi interessati, che spesso si trovano in condizioni di difficoltà economica. Si tratta, secondo la Coldiretti, di una «nuova forma di colonialismo» favorita da una globalizzazione senza regole che tratta le risorse primarie come beni qualunque e favorisce le speculazioni. Ed è difficile dar loro torto.