Gabriel Marcel, filosofo personalista francese, amava ripetere: «Amare qualcuno è dirgli: tu non morirai!». Potremmo aggiungere “da solo”, pensando alla solitudine di tanti anziani, dimenticati nelle strutture dove trascorrono i loro ultimi anni. Questo amore che rende immortali è anch’esso Vangelo, buona notizia. Perché riflesso di quell’Amore più grande che è all’origine del tempo e della storia.
In un bellissimo romanzo intitolato Canaglia (Giuntina) il narratore israeliano Itamar Orlev ricostruisce un rapporto alquanto tormentato tra un padre scapestrato e un figlio che ha dovuto subire il suo comportamento. E quando giunge l’ora, il figlio va a cercare il genitore. Lo trova in una clinica per anziani a Varsavia: «Mi fissò con lo sguardo freddo e minaccioso di un rapace. Quello era l’uomo che non volevo incontrare. “Chi sei?” ringhiò. “Papà?”. Il volto si addolcì. Gli occhi d’aquila annegarono nelle lacrime. Lo sguardo malvagio sfumò via e fu sostituito da uno sguardo nuovo, grato, amorevole, che mi mise a disagio. La sua mano, dalle dite rozze, si avvicinò al mio viso e lo accarezzò. Mi toccò la guancia destra, la palpebra, la fronte, il naso, le labbra, il mento, come un cieco. Lo aiutai a mettersi seduto sul letto. Continuò a fissarmi, adesso da vicino, aprì la bocca per dire qualcosa ma non riuscì a proferire parola». Il silenzio diventa il luogo di un riconoscimento. Di un abbraccio riconciliante.
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