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La Colletta alimentare e lo spreco Bene un dono, ma non può bastare

Andrea Lavazza martedì 19 novembre 2024
Caro Avvenire, sabato scorso ho partecipato, come faccio da anni, alla Colletta alimentare. Vivo questo gesto come forma educativa e di domanda, riconoscendomi nella frase «condividere i bisogni per condividere il senso della vita». Ma ho provato indignazione perché, mentre invitavo le persone a contribuire, ho visto un dipendente del supermercato scaricare un cesto di pane nella spazzatura. È stato così veloce che non ho potuto fare nulla. Non so se il supermercato, che pure ha aderito alla Giornata, cerchi di ridurre gli sprechi alimentari. Di certo, la nostra società non è educata a questo. Claudio Di Tuccio Pollena Trocchia (Na) Caro Di Tuccio, come ha scritto Giorgio Paolucci su queste colonne, la Colletta alimentare è una nobile e radicata iniziativa a favore dei meno abbienti, la quale si inserisce in una vena caritativa che, grazie a Dio, è ancora ampia nel nostro Paese. La vedo però slegata dalla lotta contro gli sprechi alimentari. E non certo per colpa dei bravi ed efficienti organizzatori. Chi accetta di riempire un piccolo sacchetto da donare – l’ho visto di persona sabato in un supermercato di alta gamma – spinge spesso un enorme carrello carico di beni deperibili che è facile immaginare non arriveranno integralmente sulle tavole degli acquirenti. La sua indignazione per il pane gettato, caro Di Tuccio, suggerisce pertanto qualche considerazione ulteriore, venata sia di realismo sia, me lo conceda, di un po’ di moralismo. Se vogliamo (e chi non lo vuole? Diciamoci la verità) cibo fresco, sempre disponibile in quantità abbondanti e ben esposto in tanti punti vendita vicini a noi, lo spreco è inevitabile. Fa parte strutturale dei piani industriali della grande distribuzione, anche se si può limitare con la raccolta dell’invenduto da parte delle organizzazioni di volontariato, ora regolamentata anche da una legge. Per invertire la tendenza, ci vorrebbe una vera rivoluzione del nostro modo di consumare e anche del modo di vendere i prodotti sul versante dell’offerta. L’età dell’abbondanza è una conquista cui difficilmente si rinuncerà (chiediamo ai nostri concittadini europei dell’Est se tornerebbero agli scaffali perennemente semivuoti dei loro negozi al tempo del comunismo, quando certo ogni piccolo boccone era prezioso e mai gettato via). Lo scandalo – anche in senso pienamente cristiano – è però la ricchezza in certe parti del mondo e la povertà che altrove uccide per fame o patologie correlate ancora 24mila persone (!) al giorno. In questo senso, vedere che si spendono decine o centinaia di euro la settimana per la nostra spesa e poi, una volta all’anno, ci si rifiuta di aderire alla Colletta alimentare o si mettono nella busta apposita acquisti del valore di pochi euro segnala che per moltissimi di noi lontano dagli occhi è una buona scusa per tenere lontano dal cuore, come cantava in altro contesto Sergio Endrigo. In Italia, per fortuna, nessuno soffre di inedia mortale, anche grazie alle raccolte solidali, e quindi possiamo rimanere con la coscienza apparentemente tranquilla. Se pensassimo ai nostri fratelli senza cibo, dovremmo però essere molto più solleciti nel contribuire economicamente e in tutti i modi possibili al loro soccorso. Si dirà ancora ai bambini capricciosi: pensa ai piccoli che non hanno da mangiare? Forse è ormai considerato un monito troppo traumatico. La Colletta rappresenta giustamente un momento di sorrisi e di ringraziamenti in cui possiamo dirci un po’ più buoni. Ma sarebbe bene sentirci anche pungolati dalle tragedie che non sono colpa nostra in modo diretto, eppure avremmo il dovere di tentare di fermare. © riproduzione riservata