La Cina coltiva l'orto in Africa
organizzazioni professionali del comparto attive in Europa, Giappone e Nord America. Rilevazioni che partono da una dato: nel 2008 Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Giappone, Arabia Saudita e Cina per garantirsi l'approvvigionamento alimentare hanno acquistato terreni all'estero per una estensione pari a 7,6 milioni di ettari, più della metà della superficie agricola coltivata in Italia. Buona parte di queste terre è stato individuato e comprato in Africa. Un fenomeno che ha fatto segnare una tendenza esplosiva negli ultimi mesi facendo gridare allo scandalo i sindacati agricoli (in Italia la Coldiretti) che, insieme alle organizzazioni contadine delle cinque principali regioni africane, hanno chiaramente parlato di accaparramento di terre ai danni degli agricoltori locali. Mentre sempre le organizzazioni agricole hanno indicato quanto accade come una "nuova pericolosa forma di colonizzazione".
L'allarme è scattato a partire da quanto fatto dalla Cina che
avrebbe firmato accordi in materia di cooperazione agricola con diversi paesi africani e che hanno portato all'insediamento di 14 aziende di Stato in Zambia, Zimbabwe, Uganda e Tanzania. Entro il 2010, un milione di agricoltori cinesi potrebbe essere presente in Africa. "Se l'obiettivo ufficiale - è stato il commento di Coldiretti - è quello di aiutare i Paesi che li accolgono ad aumentare la produzione attraverso le tecnologie cinesi, è chiaro che gran parte del raccolto sarà in realtà esportato in Cina, per garantire l'approvvigionamento alimentare nel lungo periodo". Anche perché questo Paese rappresenta il 40% della popolazione attiva agricola mondiale, ma possiede solo il 9% dei terreni coltivabili di tutto il mondo.
Quella perseguita dal Governo di Pechino, quindi, appare come una vera "politica di espansione agricola". Lo stesso vale per il Giappone e la Corea del Sud che importa già il 60% dei prodotti alimentari dall'estero. E uno discorso molto simile si può fare per i Paesi Arabi: il Qatar coltiva terre in Indonesia, il Bahrein nelle Filippine e il Kuwait in Birmania.
Tutto ciò è una ulteriore, e per molti versi nuova, faccia dell'agroalimentare mondiale che per davvero si dimostra sempre di più globalizzato a tutti i livelli. Ma è anche un aspetto del comparto che ha dell'inquietante. In gioco, secondo i rappresentanti dei coltivatori coinvolti nel G8 agricolo, è la possibilità di autosufficienza delle popolazioni locali: una prospettiva drammatica se si considera che i tre quarti delle persone che nel mondo soffrono la fame vivono nelle campagne e una buona parte proprio in Africa. E non basta, perché molti parlano anche di "un salto di qualità nella speculazione finanziaria internazionale". Manovre definite "inaccettabili" che, tuttavia, per ora proseguono.