Baghdad, città delle Mille e una Notte, una favola infinita, un tappeto di parole che non debbono interrompersi. Quando l'imperatore Giustiniano, in un impeto di ortodossia cristiana, prese la sciagurata decisione di chiudere la Scuola di Atene, i filosofi che la frequentavano, restarono sgomenti pensando a quale ricchezza potesse andar perduta. Si può immaginare guardando l'affresco di Raffaello ai Musei Vaticani. Costretti a fuggire, non dimenticarono di portare con sé la preziosa eredità di tanta scienza. Confinati nell'Oriente persiano deposero, quindi, i loro tesori in una culla esposta ai capricci della storia. Fortunatamente, quando arrivarono gli Arabi, i discepoli degli antichi accademici, poterono restare e risiedere in quella che fu chiamata: la "Casa della Sapienza" di Baghdad. Custodire quella memoria significò tradurre dal greco e dal siriaco in arabo, convertire, trasferire, interpretare segni antichi in parole attuali. Più avanti tante di quelle fatiche finirono a Toledo e dall'arabo vennero ritradotte in latino. «La traduzione è la risposta umana al farsi una sola lingua della punizione di Dio. Qualcosa di simile alla cristiana Pentecoste», ha scritto Tullio Gregory (Translatio linguarum). Una favola preziosa che non si deve interrompere.