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La carica delle diecimila startup

Francesco Delzio sabato 23 marzo 2019
«Vedere una fabbrica chiusa è come avere un lutto in famiglia» ricorda spesso, giustamente, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. E così, al contrario, quando nascono un gran numero di nuove imprese in Italia dovrebbe essere "festa" per tutti gli italiani. Dopo molti "lutti" subiti negli anni dell'interminabile crisi che stiamo tuttora vivendo, possiamo festeggiare finalmente una buona notizia: le start up innovative iscritte nell'apposito Registro gestito dalle Camere di Commercio hanno superato quota 10mila. È sicuramente un buon risultato, a sei anni dalla nascita di questa particolare figura di imprese che il nostro legislatore ha inquadrato come categoria ad hoc a partire dal 2012 per incentivarla sul piano burocratico e fiscale, in quanto ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente «lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico». Non a caso, la politica di supporto alle start up innovative è uno dei pochi elementi in comune tra tutte le forze politiche: nonostante la "demonizzazione" spesso attuata nei confronti del Governo Monti – che ha introdotto questo strumento per la promozione dell'innovazione con i voti di centrosinistra e centrodestra – l'attuale esecutivo ha deciso di rafforzarlo ulteriormente con l'ultima Legge di Bilancio, incrementando dal 30% al 40% le detrazioni Irpef e le deduzioni Ires (già molto favorevoli) per chi investe in start up innovative. Dal punto di vista geografico, la classifica delle regioni più prolifiche nel creare startup è guidata dalla Lombardia, seguita da Lazio, Emilia Romagna e Campania. Da Abano Terme a Zoppola, sono ben 1.700 i comuni italiani in cui si fa impresa innovativa: il fenomeno appare diffuso territorialmente e culturalmente. Grazie ad una misura di politica economica che (rara avis) è stata capace di esaltare una delle vocazioni più forti dei giovani italiani, il cui tasso medio di imprenditorialità è superiore a quello dei coetanei europei. Sul piano dei settori preferiti dai giovani "innovatori" italiani, il 34,3% delle startup è nato per svolgere attività di "produzione di software", il 18,5% opera nel settore manifatturiero, il 13,5% nella "ricerca e sviluppo". È un mix interessante, perché mette insieme manifattura e servizi ad alto valore aggiunto. Dando linfa nuova all'albero dell'imprenditoria italiana, che avrebbe bisogno di ricevere dalla politica meno chiacchiere e più "cariche" di questo tipo.
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@FFDelzio