Rubriche

La capretta

Salvatore Mannuzzu venerdì 13 dicembre 2013
Nel dialetto spesso acre e irridente della mia città «la crabba» è la capra; ma la parola ha un doppio senso: significa anche donna (moglie, fidanzata, ecc.) di qualcuno. In tempi lontani un giovanotto che conoscevo chiamava appunto «crabba» la sua ragazza (che poi era una ragazzina, giovanissima); e il nome comune era diventato quello proprio, di lei: la Crabba, con la maiuscola. (Finì poi che si sposarono, ebbero dei figli, il soprannome sbiadì; e lei è morta da un pezzo, credo dopo una precoce e non breve stagione di sofferenze). Volevo però dire d'una volta, prima metà degli anni 50, che li avevo incontrati a una sguarnita festa di laurea d'antan, col grammofono, in un paese; e loro si erano messi a ballare dei rock'n'roll, tanti, uno via l'altro: con bravura crescente, sempre più sciolti, sempre più liberi, sempre più - pareva - felici… L'immagine - cui allora avevo dedicato un'attenzione appena divertita - mi è riaffiorata adesso, imprevedibilmente, tanto viva da farmi male. Continua a bruciare, senza più materia, incandescente e quasi vana. Certo non sono finite le ragazze che ballano, con libertà e allegria; ma a me ora duole solo questa: la piccola capra venuta dal passato con i suoi boogie-woogie. Duole (per un po') senza rimedio: felice e irrecuperabile, perduta per sempre.