LA CAMORRA
Così scriveva nel 1875 (sic!) lo storico Pasquale Villari in una delle sue Lettere meridionali, giudicando una situazione che è drammaticamente identica ancora ai nostri giorni, quasi il tempo si fosse bloccato in una sorta di fermo-immagine. Tre sono gli attori che vengono fatti salire sulla ribalta: l'oppresso, l'oppressore, lo spettatore. La forza dirompente del male è tale che, partendo dalla sua sorgente (l'oppressore), riesce progressivamente a inquinare il fiume in cui si immette (l'oppresso), ma anche il terreno circostante (lo spettatore). La rete delle connivenze s'allarga, il regime del ricatto o del terrore stende il suo sudario di ingiustizia, di violenza e persino di morte, l'atmosfera camorristica o mafiosa ammorba le anime e rende tutta la società complice del male.
Detto questo, non possiamo tirarci fuori perché settentrionali o appartenenti ad altri ambiti. Non solo perché, come diceva un famoso giornalista e scrittore dell'Ottocento, Ugo Ojetti, «si è sempre meridionali di qualcuno», e quindi altri Paesi considerano chi si ritiene «settentrionale» come geograficamente e culturalmente «inferiore» rispetto al proprio punto di vista. C'è anche un rischio più universale di inquinamento delle coscienze, un declassamento dei valori morali, un'acquiescenza diffusa alla corruzione. È un'esperienza, certo, meno veemente di quella del crimine organizzato, ma si regge sullo stesso principio: «Il male è contagioso come il bene». Un principio maligno che, però, contiene in sé anche il suo antidoto: «Il bene è contagioso come il male».