La banalità del bene è quella che si manifesta nelle migliori occasioni e circostanze. Si fanno tante (troppe?) cose a fin di bene. C’è chi giustifica l’accaparramento del potere a tempo indeterminato, chi cerca di intruppare il mondo per salvarlo da una gestibile pandemia, chi fabbrica medicine, malattie, armi, munizioni e guerre per il bene di una causa e chi, a fin di bene, ricorda che c’è un Dio da obbedire e un inferno, da qualche parte, da evitare. Esattamente come per il male, le vie dei fautori di bene sono infinite. Le scuole proprio per questo sono state inventate: a fin di bene. Le ideologie e talvolta le religioni, hanno mandato al macello le migliori gioventù della storia a fin di bene, e sempre a fin di bene si consiglia a poveri migranti e gente d’avventura di rimanere “a casa loro”. Morire nel mare, nel deserto o nei campi di detenzione e tortura non è il massimo che la vita possa offrire. Già, ma quanto la natura produce abbisogna di correzioni, miglioramenti e aggiustamenti strutturali, proprio come accade per l’economia.
Sempre a fin di bene, una delle creazioni più riuscite è la categoria, ormai universalmente accettata e promossa, delle vittime. A fin di bene, infatti, si creano, organizzano e sostengono le divisioni dei bisognosi in “categorie” umane e sociali. Tutto a fin di bene per rispondere nel modo migliore ai bisogni delle “vittime”. Sabato 10 dicembre abbiamo fatto memoria della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, avvenuta a Parigi nel 1948. Com’è noto, il documento, nato in seguito alla conclusione della guerra mondiale, era stato concepito per evitare il riprodursi ancora del dramma appena accaduto. In Argentina il nunca más, dopo il dramma dei desaparecidos, scandito nel settembre del 1984 era risuonato ancora prima alla tribuna delle Nazioni Unite per la voce del papa Paolo VI, col suo «Mai più la guerra!». Era il 4 ottobre del 1965, si festeggiavano san Francesco d’Assisi e i vent’anni della creazione delle Nazioni Unite, naturalmente a fin di bene.
Ci sono le vittime degne e quelle che non meritano alcuna considerazione da parte delle istituzioni appositamente create per riconoscerle. Gli abusi sui diritti umani sono a geometrie variabili a seconda dei rapporti di forza, delle opzioni e degli interessi geopolitici del momento. Perfino le guerre possono essere, a fin di bene, umanitarie se servono a portare democrazia e soprattutto aprire (e occupare) altri mercati per il capitalismo globale. Si riconoscono i diritti di quasi tutte le categorie e nel caso se ne inventano di nuove e coloro che sono del tutto indifesi, inizio e fine vita, per il loro bene, sono soppressi e, subito dopo, resi invisibili. Ci sono poi gli Stati buoni e accettabili e quelli infrequentabili ma anche, quanto al commercio e agli interessi, regole che invece stabiliscono che tutto va bene per il bene di tutti. Magari aveva visto giusto il pensatore-profeta Ivan Illich: «Al diavolo le buone intenzioni. Un detto irlandese dice che di buone intenzioni è lastricato l’inferno, tanto per metterla sul teologico». Era il 20 aprile del 1968 e da allora si è continuato a fare delle “buone intenzioni” la nuova religione.
Niamey, dicembre 2022
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