L’uso che si fa dei poveri (Tre frontiere più una)
Il Memorandum Italia-Libia, recentemente rinnovato e del quale si sono saputi, grazie a questo giornale, con più dovizia i particolari, è un'espressione in più delle velleità in nome delle quali si giustifica l'assetto mafioso repressivo delle milizie libiche, incaricare di fare un lavoro “sporco” con vernice umanitaria. I centri non sono che lager e non fanno che confermare quanto il geografo Philippe Rakacewicz, in un recente intervento pubblicato da “Convergenze Migrazioni”, ha evidenziato con grafica lucidità. «Siccome l'accesso all'Europa è ristretto da misure ogni volta più repressive per i migranti, un gran numero di questi muoiono nell'anonimato alle porte del continente», sottolinea. D'altra parte il modo stesso di interpretare le migrazioni è tutt'altro che neutrale. Parlare di “clandestini” e “illegali” conduce, come altre volte sottolineato, a criminalizzare la figura e la persona del migrante e ciò consente alle autorità di giustificare la violenza delle politiche adottate per “controllare” la mobilità. Sono da considerare autentici criminali coloro che mettono in opera le misure di detenzione, confinamento ed eliminazione indiretta di persone il cui solo “delitto” è quello di mettere in pratica il diritto umano fondamentale alla mobilità.
Rakacewicz propone di considerare la strategia “securitaria” dell'Europa a tre frontiere. La prima frontiera è quella determinata dallo spazio/linea Schengen, di cui il mare, i reticolati e muri a Ceuta e Melilla, con le detenzioni nelle isole dell'Egeo costituiscono la rappresentazione più mortale. I deceduti e gli scomparsi si contano a migliaia e le ferite alla dignità umana sono incalcolabili. La seconda frontiera o la “post-frontiera” è quella dei campi di internamento e dei centri di identificazione, espulsione e comunque di controllo poliziesco. Costituiscono un fattore di inquietante analogia con i tristemente noti campi di eliminazione di cui si è recentemente fatta memoria in Europa. Infine, c'è la terza frontiera, ovvero le “pre-frontiere” che sono la visibile incarnazione degli accordi con Paesi Terzi per le riammissioni degli indesiderabili e della detenzione di coloro che oserebbero varcare le “Colonne d'Ercole” dell'Unione Europea. Essa si materializza soprattutto con atti politici di “cooperazione” bilaterale o in termini di finanziamenti promessi o già avvenuti per controllare, filtrare o interrompere la libera circolazione delle persone.
Proprio queste frontiere e il loro uso contro i poveri sono il cuore di un brano diffuso in questi giorni da media turchi, ideato dal musicista siriano curdo Huseyin Hajia dal titolo “Musica Rifugiata”: «Non siamo altro che pezzi di rifugiati/nelle tue piazze, strade e viali/se elemosiniamo, perdonaci/nei tuoi luoghi di lavoro, officine e campi/se siamo lavoratori illegali, perdonaci/se i nostri cadaveri urtano le tue coste o le tue spiaggie/Chi sono io per lamentarmi?/siamo annegati nelle lacrime di coccodrillo». È questa la frontiera interiore. La più pericolosa perché quella che genera tutte le altre. È dunque la prima da smantellare.
Niamey, febbraio 2020