Sono quasi due secoli che nella vita dei grandi aggregati urbani, delle capitali, delle metropoli e delle megalopoli, la vita sociale si sta disgregando per eccesso di affollamento e di accelerazione dei tempi di lavoro e di vita, di produzione e consumo. Il processo è tuttora in corso, ma non viene più notato. I sociologi non lo descrivono più. Gli scrittori non ne sono più nauseati, anzi. Perchè? La critica sociale di un tempo, che era critica non solo di grandi entità generali come capitalismo, alienazione, reificazione, società di massa, ma anche critica del mutamento della struttura psichica, caratteriale, mentale e morale dei singoli esseri umani, ora è ammutolita. Quella critica sociale classica, che dall'Ottocento si era sviluppata nel Novecento partendo da Leopardi e Kierkegaard fino a Kraus e Adorno, da Engels e Baudelaire fino a Eliot e Ortega y Gasset e a libri come La folla solitaria di David Riesman, Massa e potere di Elias Canetti e L'uomo è antiquato di Gunther Anders, è un genere di discorso che si è spento da quando il rifiuto umanistico del capitalismo si è esaurito perché gli esseri umani non riescono più a immaginare e a volere niente di diverso e migliore, nessuna alternativa credibile e realizzabile. La politica si è immiserita. È al servizio della macchina economica e si legifera anzitutto in nome di un'efficienza sistemica che resta tuttavia una chimera. Quando nel 1845, a venticinque anni, il filosofo tedesco Friedrich Engels, amico fraterno di Marx, scoprì a Londra il gigantismo degli scambi economici borghesi, la potenza già planetaria dell'impero e la disperata miseria sociale che ne era il rovescio, descrivendole nel suo libro Le condizioni della classe operaia inglese, parlò della «brutale indifferenza» e dell' «insensibile isolamento di ognuno nel suo interesse personale» che emergono «in modo tanto più ripugnante e offensivo, quanto maggiore è il numero di questi singoli individui ammassati in uno spazio ristretto (...) una decomposizione dell'umanità in monadi, ognuna delle quali ha un principio di vita particolare e insegue un suo scopo (...) questo mondo di atomi è stato portato nella grande città alle sue estreme conseguenze». Quelle conseguenze non erano affatto estreme e neppure oggi lo sono ancora. Bisogna essere prudenti nell'usare parole come «estremo» e «definitivo». Le cose, in futuro, possono anche peggiorare. Oggi l'individuo-monade e gli esseri umani-atomo si stanno moltiplicando. La nostra Babele dell'indifferenza è sempre più babelica quanto più è globalizzata.