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L’umarell

Alberto Caprotti giovedì 12 dicembre 2024
Ricordo che aveva occhi gentili. Come la voce, che iniziava forte e poi scivolava in quella bella fragilità che hanno solo le voci degli anziani. Fermo sul marciapiede, quasi fosse una missione alla quale non poteva sottrarsi, spiegò alla mia faccia scettica che sbucava dal finestrino che quello spazio tra un’auto e l’altra era sufficiente per parcheggiare. Bastava farlo come diceva lui. Pensavo fosse una specie in via d’estinzione, invece esistono ancora gli indomiti lavoratori a riposo che dedicano parte del proprio tempo alla soluzione tecnica dei piccoli problemi altrui. Oppure alla contemplazione di una buca. I più esperti si concentrano sui palazzi in costruzione. Gli operai ruotano, ma loro non si assentano, memoria storica del quartiere e del cantiere. Nulla sfugge a quegli occhi velati di malinconia. Possono cambiare obiettivo solo se un automobilista cerca di incastrare la sua vettura in mezzo alle altre. Allora si dedicano all’osservazione delle mosse del dilettante con cipiglio attento, generoso ma severo. Non basta essere in pensione: il loro è uno stile di vita. Si accorgono di tutto, eppure nessuno sembra accorgersi di loro. Li chiamano “umarell”, e li ho sempre amati. E un po’ anche invidiati. Perché sono ancora vivi, perché sono gli angeli delle città, perché sono un valore. Testimoni di un mondo più lento e preciso. © riproduzione riservata