L'umanità di Sereni fra poesia e trasparenza
morì. Lavoravo allora alla Garzanti e mi recavo in ufficio molto presto, non appena il portiere me lo permetteva, per passare nel pomeriggio alla redazione di "Linea d'ombra". Mi telefonò, sapendo le mie abitudini, Anna Drugman, ufficio stampa della casa editrice, che abitava in via Paravia nello stesso palazzo di Sereni, dalle parti di San Siro (Sereni era interista, e lo ero anch'io), per dirmi che Vittorio era improvvisamente mancato, mentre stava facendosi la barba come ogni mattina. Bisognava avvertire i suoi amici, e ci dividemmo le telefonate e ricordo ancora con commozione che Franco Fortini, quando gli detti quella pessima notizia, scoppiò in un pianto irrefrenabile, inatteso. Eravamo in tanti ad amare Sereni. Avevo sui vent'anni quando gli mandai delle poesie, e mi rispose (dopo molte settimane) dandomi dei consigli così precisi ed esigenti che capii che scrivere poesie implicava un lavoro assiduo e convinto, di cui non mi sentivo capace. E dopo quella lettera non ho mai più scritto un sol verso. Si amava Sereni per le sue poesie e i suoi scritti, pochi e intensissimi, ma anche perché comunicava, nella sua perfetta educazione, un sotterraneo calore, e l'idea che davvero gli importasse qualcosa di te. Ai funerali non eravamo in tanti, ma si vide arrivare trafelato da Roma, accompagnato da un amico, Vasco Pratolini, altro amico e maestro. Non lontano da via Paravia c'erano le case popolari in cui abitava Pinelli, e partecipammo insieme, Giudici, Fortini, Raboni, Majorino - tutti i veri poeti di Milano! - e noi "piacentini", ai suoi funerali.
La densa raccolta di saggi che Luca Lenzini ha dedicato alla poesia di Sereni, edita da Quodlibet, ha un titolo perfetto: Verso la trasparenza. Forse aveva ragione Grazia Cherchi a dire che Sereni era il maggior poeta italiano del Novecento... Ma di Sereni (e di Silvia e di sua sorella Giovanna, e della loro madre) voglio ricordare un altro piccolo aneddoto. Quando agli albori del '68 la polizia torinese arrestò Guido Viale, leader potenziale, dei ragazzi protestarono con dei cartelli all'interno di un grande magazzino del centro e la polizia alcuni ne arrestò e altri ne individuò, poco più che adolescenti, che erano riusciti a fuggire. Uno di loro mi venne inviato dagli amici torinesi a Milano perché gli trovassi una casa in cui nasconderlo, e io, con Grazia Cherchi, pensammo di chiedere a Sereni. Lui, la moglie e le figlie se lo presero tranquillamente in casa e lo tennero lì, semi-nascosto, per alcuni mesi, finché un processo non lo assolse o quasi dalle scarse imputazioni. Tornò a Torino, ma era ormai uno della famiglia.