Nel frastornante trambusto planetario del presente, che oscilla fra la numerologia delle notizie di Borsa e la tragedia reale dei migranti, mentre arranchiamo verso un futuro che dovrebbe, ma sembra non essere, nelle nostre mani, colpiscono ancora di più certe voci che ci arrivano dal passato. Da venti secoli fa la voce di Seneca, da metà Ottocento la voce di Kierkegaard: due fra i più lucidi filosofi morali del nostro Occidente, due classici dell'umanesimo esistenziale, prima che il termine “esistenzialismo” fosse inventato. Le edizioni La Vita Felice hanno da poco riproposto con testo latino a fronte il De tranquillitate animi di Seneca, mentre poco dopo è uscito da Castelvecchi il libro del filosofo danese di Harald Høffding su Kierkegaard umanista. Come dicevo, fa un certo confortevole effetto sentirsi accanto anche solo per qualche ora o qualche giorno questi due giganti dell'autoanalisi, dell'autoformazione, giorno dopo giorno alla ricerca del modo più giusto di viverela vita che ci è stata data. L'opera di Seneca è a cura di Stefano Costa e contiene anche le ottime note di commento di uno studioso come Alberto Grilli. Quello di Høffding (1843-1931) è il primo studio organico realizzato su Kierkegaard. I lettori che nutrono questo tipo di interessi potranno scegliere questi due agili volumi come livres de chevet per i prossimi mesi o anche soltanto nel corso dell'attuale Quaresima. Mentre ne scrivo e ne consiglio la lettura, anch'io sto ancora leggendo e passo piacevolmente da un libro all'altro. Il dialogo di Seneca si apre con un fondamentale problema: come superare l'incertezza fra l'attrazione per la vita semplice e quella per il lusso, fra vita privata in raccoglimento e seduzioni della vita pubblica. Il consiglio di Seneca è evitare l'irrequietezza, ma accettare che la solitudine riflessiva si mescoli alle occupazioni, ricordando che «mai tutto è precluso al punto che non ci sia spazio per qualche azione onesta». Høffding inizia la sua introduzione con queste righe: «Per Kierkegaard era triste pensare che sarebbe arrivato il momento in cui perfino lui sarebbe finito tra le mani “dei docenti, dei professori” per diventare materia di studio». Quello che oggi ogni scrittore desidera, Kierkegaard lo temeva. Le ragioni di questa ripugnanza erano chiare: preferiva la critica all'ammirazione ipocrita, cioè senza effetti. Gli studiosi studiano e sistemano. Ma si guardano bene dal prendere personalmente sul serio le verità che hanno guidato la vita di uno scrittore.