In una stazione deserta del lontano ovest tre pistoleri aspettano. Sta per arrivare un treno, ne scenderà l'uomo che sono stati incaricati di uccidere. Uno dei tre è seduto su una panca di legno. Gli ronza intorno una mosca. Si posa sulla sua barba, la scaccia con la mano, cammina sulle sue labbra, soffia per farla volare via. Finalmente si ferma sullo schienale della panca. Il killer estrae la pistola dalla fondina e, con gesto fulmineo, la centra con la canna che subito ostruisce con un dito. Poi la avvicina all'orecchio e ascolta il ronzio della mosca prigioniera. Si sente lo sferragliare del treno. Il pistolero libera la mosca e si alza. In C'era una volta il west di Sergio Leone, dove gli uomini moriranno come mosche, la mosca si salva. «Non ho mai fatto male a una mosca» mi dice l'amico che ha rievocato questa scena, mentre aspettiamo sotto la pensilina che arrivi l'autobus. «Ma avrei voluto catturarle come quel pistolero. Non ci sono mai riuscito». Neanch'io, lo confesso, e con un senso di frustrazione postuma. Le mosche però, mi fa notare lui mentre timbriamo il biglietto, non si sono salvate solo dal pistolero e dalle nostre inette mani moschicide. Da qualche tempo, nel dizionario della lingua italiana, costringendo zuzzurellone a retrocedere al penultimo posto, hanno conquistato addirittura, insieme alle zanzare e ad altri insetti, l'ultima parola: zzzzz.