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“L'ultima difesa” dei processi in tv

Andrea Fagioli martedì 26 gennaio 2021
Il fascino del crimine: attrazione e repulsione. Sembra assurdo, ma è così. E la televisione, in modo più o meno corretto, ci sguazza. Da Cogne a Garlasco, da Erba ad Avetrana, sono migliaia le ore dedicate agli omicidi, anche a quelli con sentenze definitive, che hanno cioè individuato i colpevoli attraverso i tre gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento. Per cui, spesse volte, si tratta di una sorta di quarto grado, proprio come il titolo del format che Rete 4 dedica al tema. Di fatto un tentativo di far credere al telespettatore di essere lui il giudice supremo oltre la giustizia ordinaria. Anche Rosanna Cancellieri, con Crimini da copertina, il lunedì pomeriggio su Tv8, si è messa a rileggere casi con sentenze passate in giudicato. Lo ha fatto pure Selvaggia Lucarelli, popolare giornalista regina dei social e giudice di Ballando con le stelle, che sabato in prima serata su Nove si è avventurata in una vicenda particolarmente controversa con una lunga intervista ad Antonio Ciontoli (L'ultima difesa), che prima d'ora soltanto la maestra del genere, Franca Leosini, aveva interrogato all'interno delle sue Storie maledette (Rai 3), ma lo aveva fatto, contrariamente al solito, mentre l'imputato era in attesa della sentenza della Cassazione, che avrebbe imposto un processo d'appello bis conclusosi con la condanna a 14 anni per l'omicidio volontario di Marco Vannini, il giovane fidanzato della figlia ucciso a Ladispoli da un colpo di pistola nel maggio 2015. Con Ciontoli sono stati condannati a nove anni e quattro mesi per concorso anomalo in omicidio volontario la moglie Maria e i figli Martina e Federico. Una storiaccia anche perché la famiglia Ciontoli ha subito parallelamente un processo mediatico senza precedenti. E la Lucarelli è partita proprio dall'"odio sociale" che si è riversato sul reo confesso e i suoi parenti. Scelta giusta, se vogliamo, ma che non ha contribuito a una pacificazione, anzi: con una sorta di minaccia finale di suicidio da parte dell'intervistato (definita «ricatto morale» dall'intervistatrice) si è aggiunto un elemento inquietante a una vicenda dai contorni oscuri e sui quali la televisione, checché se ne dica, non aiuta a fare luce. E forse nemmeno lo vuole.