L'olio d'oliva cerca il prezzo giusto
Il monitoraggio Ismea, elaborato anche sulla base della banca dati di Unaprol (Il Consorzio olivicolo italiano), ha registrato un aumento della domanda di prodotto italiano collocato sul mercato nazionale che viene scambiato a 3,08 euro il chilo sfuso. Il rialzo dei prezzi " è stato fatto notare " sta incoraggiando l'avvio delle operazioni di raccolta e trasformazione. Soprattutto però, è un segnale che testimonia della bontà dell'olio nazionale, anche in confronto a quello dei principali concorrenti. In Andalusia (Spagna) il prezzo dell'olio extravergine e quello del lampante sono coincidenti a 2,40 euro.
Ma c'è anche di più. Occorre infatti chiedersi come sia possibile, con un prezzo medio pagato dall'industria pari appunto a circa 3 euro al chilo per il prodotto sfuso, trovare sugli scaffali di molti punti vendita (specialmente della grande distribuzione organizzata dicono gli olivicoltori), bottiglie di olio extravergine indicato come italiano al costo al consumo di 2,70-2,90 euro. «Un'assurdità palese», spiegano all'Unaprol che tuttavia presto cesserà di essere. Proprio in questi giorni, infatti, è arrivato il via libera della Conferenza Stato-Regioni alla bozza di decreto ministeriale che definisce l'applicazione delle disposizioni relative all'etichettatura dell'olio extra vergine di oliva e che obbligano, in effetti già dal primo luglio scorso, ad indicare l'origine della materia prima.
Certo, è forse presto per dire se la tendenza dei prezzi dell'olio di oliva, possa per davvero significare l'avvio di una strada diversa per le quotazioni dei principali prodotti agricoli nostrani. Ma c'è anche un altro dato positivo che fa ben sperare. Nei primi nove mesi dell'anno, infatti, i consumi a tavola delle famiglie italiane hanno fatto segnare un timido aumento dello 0,4% in quantità. A notarlo è stata la Coldiretti, che ha subito commentato: «Si tratta di un segnale importante per la ripresa economica generale perché quasi un euro su quattro si spende in acquisti di alimentari e bevande». E se la domanda alimentare riprendesse per davvero a crescere, potrebbe beneficiarne l'intera filiera. Anche se la stessa Coldiretti mette subito le mani avanti. A frenare il debole segnale positivo sono le pesanti distorsioni che permangono nel passaggio degli alimenti dal campo al consumo. Accade così, quindi, che se i prezzi al consumo crescono, quelli alla produzione in generale continuano a diminuire con tassi a due cifre. C'è da sperare, in un certo senso, nel buon esempio dell'olio.