L'odissea africana di Christian, il migrante
Non aveva però pensato alla guerra di Ebola, che ha seminato morte e distruzioni nel suo e in altri Paesi limitrofi. Alla morte di buona parte della sua famiglia per la malattia, affronta un altro esodo dal suo Paese. Attraversa la Costa d'Avorio, tenta il Ghana, sfiora il Togo e, consigliato da amici, pensa di raggiungere l'Algeria che gli hanno descritto come un cantiere a cielo aperto. Non l'ha mai raggiunta perchè,
malgrado i tre tentativi effettuati, alle frontiere lo hanno puntualmente espulso e deportato nel Niger. In questo Paese lavora come barbiere per mantenersi per un paio d'anni finché un giorno, arrestato e accusato ingiustamente di frode, è detenuto per oltre due anni nella prigione centrale di Niamey.
In carcere sopravvive come può coi piccoli mestieri che nel frattempo ha imparato nei soggiorni forzati nei campi profughi. Meccanico, autista, idraulico, barbiere, fabbricatore di stuoie e commerciante di tutto ciò che in carcere permette di resistere. Finalmente liberato, dopo essersi ripreso dalla mortale avventura carceraria, contatta l'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni per un rimpatrio “volontario”, in patria. I suoi tre figli sono in Costa d'Avorio, ormai grandi e la maggiore ha dato alla luce una bimba che spera di abbracciare presto. La madre dei suoi figli l'aspetta ancora e, se possibile, la farà venire in Liberia dove la famiglia paterna ha una casa e dei terreni. Christian mostra la tessera di vaccinazione obbligatoria per il viaggio di ritorno e, il giorno prima di partire passa per salutare e ringraziare. Chiede una preghiera per il viaggio, un ricordo e promette che, una volta a destinazione, manderà un messagio e la foto della nipote a cui hanno affidato il nome Peace, Pace.
Niamey, marzo 2021