Ancora su don Andrea Santoro. Non l'ho incontrato molto, ma l'ho trovato “lontano” in una sua realtà più profonda e più alta, e vicino in una fraternità condivisa. Ma chi è stato davvero? Ricorro ad alcuni brani della commemorazione al suo “ritorno” a Roma, accolto in Campidoglio da comunità ecclesiale e civile il 10 giugno 2011. Parole solenni di don Enrico Feroci, per lunghi anni di amicizia e concreta assistenza, riconsegnandolo alla memoria del popolo: omaggio ad un amico confratello di fede e ministero e fratello di vita e vicinanza. Così nel ricordo dell'ultimo suo incontro in partenza da Fiumicino verso quella terra da cui sarebbe tornato soltanto martire, le ultime parole: «Mi raccomando: quando torno fammi ritrovare Gesù!» La vita, dunque, è trovare e ritrovare Gesù! Hanno scritto e detto che don Andrea è stato «l'uomo dell'incontro nel tempo dello scontro di civiltà», vero e giusto, ma – come aggiunge don Feroci – «don Andrea, prima che missionario in Oriente è stato a Roma sacerdote e parroco. Prete romano e cattolico, realtà che supera ogni distanza, dall'uomo e da Dio che nell'uomo Gesù Cristo si è offerto fratello e martire universale». Perciò così già nella prima omelia di don Andrea all'ingresso a Verderocca come nuovo parroco: «…che ci sto a fare, io prete, qui? Non farò altro… mi occuperò di Cristo e di voi: di Cristo per portarlo a voi e di voi per portarvi a Cristo. Mi metterò al servizio di questa vostra gioia, essere con Cristo, essere uno tra noi». Unica missione: portare tutti a Cristo sia nelle borgate romane che nella Terra dove tutto è iniziato, insieme testimone di sangue e di fede alle origini. Verderocca, Terra Santa e Turchia di oggi. E da lì era maestro anche per chi a Roma restava. Di qui i suoi 12 “comandamenti”: amate le vostre chiese, non spegnete la voce della preghiera, non uccidete la croce di Cristo, la sua povertà, non sostituite la sua umiltà e semplicità con l'accumulare e l'apparire, fate fiorire la Carità, siate fecondi nello spirito, dite sì a Dio anche quando vi invita sul monte a sacrificargli Isacco…» E la sua parola si rivolge anche al Padre: «Dammi a Gesù… Così che lui non mi respinga, ammaestrami!». E ancora: «…alla comunione: Signore, prendimi come prendesti il grumo di sangue di Maria e incarnati in me facendo della povertà di quello che sono la ricchezza di quello che tu sei!» Fino alla conclusione: «Don Andrea ci ha insegnato che non si serve il Signore per scherzo, perché se si ama sul serio, non si ama per scherzo lo ha detto – raccontano i libri – Gesù stesso a santa Caterina da Siena. Lo potrebbe dire Lui a noi questa sera, dal Colle più alto di Roma, da dove si spazia sul mondo intero». Don Andrea: uomo, prete, parroco, missionario, testimone, esempio, martire di sangue che sgorga a salvezza universale da quella Croce: l'unica per ogni vita umana degna di essere vissuta. Ma di don Andrea mi riguarda il suo tranquillo coraggio del 16 giugno 1979, quando su L'Osservatore Romano, Avvenire e Radio Vaticana comparve la nota ufficiale autorevolissima che Giovanni Gennari non aveva più alcun titolo per parlare o scrivere cose relative a fede e Chiesa: come una sospensione a divinis! Ebbene, quello stesso pomeriggio ricevo una lettera manoscritta da don Andrea che manifesta la sua fraterna vicinanza, e scrive di non aver mai trovato nei miei scritti e parole qualcosa che lo abbia allontanato da fede e Chiesa. Allora era vice parroco a Monteverde, e nel verso della lettera c'era anche la firma di altri 2 preti. Per me come balsamo sulla ferita di quel giorno, purtroppo anticipo di altre future. Ho conservato l'originale di questa lettera che poi ho consegnato a Maddalena, sorella di Andrea e per qualche anno mia alunna all'Ecclesia mater del Laterano. Concludo scusandomi per qualche imprecisione, sabato scorso, sui tempi dei diversi incarichi affidatigli dalla diocesi di Roma. In don Andrea troviamo e ritroviamo Gesù: è tutto!