Lsettimana appena passata ha chiuso la cosiddetta stagione delle guide gastronomiche, che ancora porta il suo strascico di polemiche, con una notizia certa (non so quanto anche voluta): Vissani ha perso la seconda stella. La Guida Michelin, con la solita parsimonia, ha detto la sua, dopo l'uscita delle principali guide italiane (Espresso e Gambero Rosso), che tuttavia hanno il vizio di voler indicare "il migliore" scelto nella solita rosa di nomi che poi sono spesso i medesimi della Michelin. E allora perché tanta acrimonia quando si vuol far coincidere la massima espressione della nostra cucina solo con le cosiddette cucine gourmet? Detto questo, è doveroso dichiarare che si è parte in causa, firmando con il collega Marco Gatti un'altra guida ai ristoranti nazionali (ilGolosario Ristoranti) dove il criterio è invece quello di mettere sul medesimo piano le varie espressioni della cucina italiana: la trattoria e il ristorante gourmet, la pizzeria e l'azienda agrituristica. Tutti nel proprio ambito possono ambire ad avere il massimo riconoscimento, che per noi è la corona radiosa. Un tempo anche la Guida Michelin aveva questo coraggio, tant'è che tutti ricordano la stella che ottenne una posteria della bassa parmense: Peppino Cantarelli a Samboseto di Busseto. E fu un riconoscimento alla cucina italiana che si apriva al mondo, concetto alquanto pericoloso per una guida di matrice francese che ha il complesso della grandeur e forse non concepisce che l'Italia in qualche modo, sulla cucina o sui vini, possa primeggiare. Premesso ciò, noi la corona la diamo al Trippa di Milano, che è un locale semplice in zona Porta Romana, dove Diego Rossi ha creato un fenomeno cucinando il cosiddetto quinto quarto. Nei giorni scorsi, insieme a Barbara Giglioli, Diego è uscito con un bellissimo libro «Finché c'è Trippa…» (Guido Tommasi editore) che vale molto di più di una qualsiasi guida. Anzi è una guida, giacché questo libro di belle fotografie divide le ricette per animali: dal maiale all'oca, fino al pesce e alla cucina dei suoi scarti. È un libro che fa venir voglia di mangiare, così come i piatti della sua cucina che traggono origine dalla storia di povertà della gente del Veneto. E questa è proprio l'essenza della cucina italiana, che sta nel genio di cucinare gli scarti rendendoli qualcosa di superbo: un paté, un ragù, una tartare, uno stracotto, una terrina. L'anima del nostro ricettario sta qui, in questo ingegno indomito che resta il vero patrimonio gastronomico dell'Italia. Non pretendiamo che le istituzioni se ne accorgano, ma neanche che si abbia un atteggiamento acritico per cui vale solo ciò che è stellato; termine entrato nel lessico corrente, come se tutto il resto – trattorie comprese – fossero scarti. E io dico, per questione di dignità: pensiamole almeno come dei quinti quarti.