Ricevo dalle mani dell'autore, Giuliano Caroli, il suo ultimo lavoro su L'Italia e il Patto balcanico. È un aspetto della politica estera italiana che non ha avuto, pur nei molti studi e pubblicazioni, una giusta eco nella nostra storiografia. Forse al comune lettore sembrano cose che possono interessare solo gli addetti ai lavori. Eppure è su una notevole diversità di fatti, di iniziative condotte sia dagli uomini della diplomazia, come di quelli della politica, senza dimenticare le occasioni accidentali che è nata e ha trovato la sua strada la nostra democrazia. Si parla qui di una alleanza militare tra due Paesi mediterranei, membri della Nato, Grecia e Turchia, e un Paese balcanico a regime comunista, la Jugoslavia, pur indipendente riguardo al blocco bolscevico. Certamente una situazione atipica che vide l'Italia del tempo di De Gasperi, occupata a salvare il territorio di Trieste, distratta dall'avvento di questo Patto inaspettato. La presenza di un problema con la Jugoslavia di Tito con il quale bisognava trattare, sia pure attraverso gli americani, e la realtà di questo trattato metteva in grave difficoltà il lavoro del nostro governo. L'autore del volume chiarisce la situazione avvalendosi di molti documenti inediti dell'archivio storico del ministero degli Affari esteri, per cui da maggiore spazio, pur non escludendo il problema triestino, alle due grandi direttrici che ha affrontato il nostro Paese: l'espansione dell'idea europea e nello stesso tempo l'attenzione a una politica mediterranea. La firma del trattato istitutivo della Comunità europea di difesa, il 27 maggio 1952, al termine dei negoziati a sei sull'esercito europeo integrato, come scrive in una bella pagina Giuliano Caroli, introduceva un nuovo fattore nel processo di avvicinamento della Jugoslavia verso l'Occidente e in modo particolare nei suoi rapporti con l'Italia. Ricordo di quel tempo il viaggio di mio padre in Grecia dove era stato invitato ufficialmente. Sulla mia scrivania c'è ancora una piccola istantanea che lo ritrae mentre cammina su un sentiero in lieve pendenza. Sopra la dedica: «Tuo padre a Micene!», dove il punto esclamativo è il vero protagonista del quadro. Amante dell'arte greca e profondo conoscitore della sua storia, trovò nella terra di Atene che le due cose si compenetravano in una sintesi mirabile: gli ideali di libertà e di giustizia racchiusi in un'espressione di bellezza. Nei colloqui con il primo ministro Papagos e con Stephanopoulos fu necessario usare diplomazia pur facendo intendere che l'offerta del ministro degli Esteri greco di intervenire in nostro aiuto verso Tito era bene accetta anche se scandita con queste parole: «Non creda Tito che siamo così deboli ed entuasiasti dell'Unità Europea da poter egli sormontare le difficoltà a Trieste con la nostra accondiscendenza». Parole dure che non mancavano di chiarezza. De Gasperi, ricorda Caroli, rileggendo i testi dell'archivio degli Esteri, cercò anche di rivendicare all'Italia la partecipazione agli studi sulla pianificazione della Nato da parte della Jugoslavia, ma le elezioni del 1953 gli toglieranno il dominio della situazione. L'iniziativa passava ad altre mani.