L'istruzione ha valore. Ma in Italia c'è un «tetto»
Anche sul piano economico, in realtà, studiare di più sembra generare maggiori e migliori opportunità occupazionali. Lo hanno di recente dimostrato – sulla base dell'indagine biennale della Banca d'Italia sui bilanci delle famiglie italiane – Daniele Checchi e Maria De Paola su lavoce.info: il possesso del diploma di terza media è associato a un reddito medio complessivo superiore del 50% rispetto a quello percepito da chi è senza alcun titolo di studio, mentre il possesso di un diploma di maturità è associato ad una differenza media di reddito del 100%. Allo stesso modo, chi è in possesso di una laurea ha un reddito medio superiore a chi non l'ha conseguita. Ma qui purtroppo inizia "l'anomalia italiana", che si può sintetizzare in due fenomeni. Primo: i laureati italiani hanno un premio salariale del 41% rispetto ai diplomati, un valore elevato ma inferiore al 56% della media Ocse. Secondo: in Italia chi possiede un titolo di studio post laurea, a differenza degli altri Paesi avanzati, non gode di un rendimento aggiuntivo rispetto ai laureati.
La conclusione è semplice: in Italia l'istruzione rende, sia sul piano sociale che su quello economico. Ma meno rispetto agli altri Paesi avanzati, perché nel nostro Paese esiste un "tetto": il mercato del lavoro italiano premia la qualità della formazione solo fino ad un certo livello, mentre è sostanzialmente incapace di assorbire i livelli più elevati di qualificazione e di riconoscerne il valore. La "fuga dei cervelli", almeno in parte, nasce proprio da qui.
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